Saggi musicali italiani

Data entry: Andreas Giger
Checked by: Anna Gercas
Approved by: Andreas Giger

Fn and Ft: BASINTR_TEXT
Author: Basevi, Abramo
Title: Introduzione au un nuovo sistema d' armonia
Source: Abramo Basevi, Introduzione ad un nuovo sistema d' armonia (Florence: Tofani, 1862)
Graphics: BASINTR 01GF-BASINTR 16GF

[-V-] AL CELEBRE MAESTRO CAVALIERE GIACOMO MEYERBEER.

Fino da quando incominciai ad assaporare una parte delle tante bellezze, onde vanno universalmente pregiate le sue Opere, mi persuasi quanto giovasse, anco ad uno splendido ingegno la perfetta cognizione dell' arte, ed una intelligente e vasta erudizione. Quindi mi affaticai d' indurre la persuasione medesima in molti altri musicisti in Italia, i quali troppo ciecamente all' ingegno [-VI-] solo s' affidavano. Operai ciò, secondo le mie forze, e con alcuni scritti, e promovendo dei Concerti classici e dei Concorsi. Se il desiderio vivissimo non mi adombra la mente, affermare posso che le mie fatiche non riuscirono al tutto vane.

Mentre porgeva altrui consigli, io stesso, tuttochè della mia pochezza consapevole, m' ingegnai di penetrare addentro nei misteri dell' arte musicale, ed il [-VII-] frutto che ne colsi, è quello che oggi in questo tenue lavoro intesi di dedicarle. Il che faccio con tanto più animo, in quanto che mi penso, che Ella, avendo benignamente accolto questo omaggio, ha voluto confortarmi nei miei studi. Di che sentendo viva riconoscenza, con la più alta ammirazione ho l' onore di rassegnarmi

Firenze, 28 Aprile 1862

suo devotissimo servo

ABRAMO BASEVI

[-1-] AVVERTENZA.

Io ho al tutto ultimato un nuovo sistema di Armonia, e mi accingeva a pubblicarlo, quando pensandovi sopra mi sembrò miglior consiglio che prima ne uscisse in luce la Introduzione ove si trovano i fondamenti, ed i principj dello stesso sistema.

Questa titubanza nacque in me pensando che anco i più eletti ingegni s' avvisarono sovente di avere toccato il vero in questo argomento, là dove ne distavano le mille miglia.

Io scrivo per istruirmi, prima che per ammaestrare gli altri; sicchè desidero avidamente di raccogliere quei savj consigli che i dotti possono, e vogliano darmi. E stimo tanto più utile il conoscere l' opinione degli esperti intorno questa Introduzione, in quanto che potrò anche modificare, secondo gli avvisi ricevuti, il mio sistema, e quindi risparmiare al pubblico inutili letture.

E dovrei lusingarmi di conseguire questo intento, ogni qual volta mi riduca alla memoria quegli abili critici e di Italia, e stranieri, i quali benignamente risposero al mio desiderio, pronunziando il loro giudizio intorno al mio Studio sulle opere di Giuseppe Verdi, e mi si mostrarono larghi di conforto e d' incoraggiamento.

[-2-] Non voglio perciò lasciar fuggire questa opportunità senza ringraziare pubblicamente alcuni dei miei critici oltramontani, e fra questi il celebre Fetis, che, nella seconda edizione della sua pregevole Biographie Universelle des Musiciens ove mi fece figurare, chiamando il mio libro imparziale, ne fece l' elogio il più gradito all' animo mio. Il Signor Scudo parimente, che, come niuno ignora, con tanta dottrina e buon gusto tiene alta in Francia la critica musicale, mi animò assai colle sue parole intorno allo stesso libro nella Revue des deux Mondes, e nell' Année Musicale 1861: se non che dichiarò di non partecipare sempre alle mie vive ammirazioni per le qualità incontestabili del Verdi. Così non parve pensare il Signor Achille De Lauzieres, il quale, peraltro con molta moderazione, esaminando lungamente le mie opinioni nella Revue Contemporaine, mi giudicò in vece troppo freddo verso l' illustre maestro di Busseto.

Nel proporre adesso un nuovo sistema di armonia intendo condurmi come già feci per il mio Studio eccetera, ove tutta la mia attenzione rivolgendo alle opere, mi figurai l' autore come se fosse vissuto mille anni addietro. Per conseguenza voglio sperare che quei musicisti, i quali mi vedranno dare opera a rovesciare in qualche parte i sistemi da loro creati, o vagheggiati, accoglieranno le mie parole senza sdegno, e come dettate dall' amore dell' arte, e non mai da stolta brama di sembrare da più di loro. Ed in vero, posto anche il caso che io abbia qualche volta imbroccato nel segno, nessun pregio è diminuito a tutti quei miei predecessori, i quali coi loro scritti mi hanno preparato la strada, illuminato, e dato la spinta, per dir così, a poter fare qualche passo innanzi.

[-3-] INTRODUZIONE.

I.

Egli è indubitato che, atteso il grado di sviluppo cui è pervenuta oggi la composizione musicale, i sistemi di armonia finora proposti agli studiosi si mostrano insufficienti; tanto che se pure vi sono dei discepoli fedeli allo insegnamento dei loro maestri, riescono vittime della loro cieca fiducia. Imperciocchè l' ingegno loro si trova vincolato di troppo dalle antiche regole, che più non corrispondono a quei nuovi bisogni dell' arte, i quali, come appresso dimostreremo, nacquero dal progresso della percezione musicale. E perchè mai cotali regole debbono tuttavia durare quando il fatto le contradice ad ogni istante? E non sono forse le leggi dell' arte frutto della esperienza dei migliori maestri? Reputeremo i moderni compositori indegni di dare nuove norme, e di modificare, ed abolire perfino le antiche? E chi vorrà negare oggi il discredito in cui sono caduti anche i migliori insegnamenti, e la antipatìa di molti verso gli scrittori antichi più insigni, solo perchè i novelli maestri, osservando ad ogni ora il trionfo della musica nuova a dispetto dei precetti antichi, stimano inutile lo studio profondo dei classici, e concludono potersi tutto creare nella musica col proprio cervello? E quale guida prendono questi nuovi compositori? L' orecchio inesperto, e rozzo. Questo è il giudice supremo a cui si affidano.

[-4-] I sistemi di armonia fin quì comparsi, come tutti i sistemi incompleti, e falsi, peccano per due difetti; o muovono da un principio insufficiente, o pongono capo a più principii fra loro sconnessi. In cotesti sistemi rimangono per un lato inesplicati molti fatti armonici, e melodici, come sarebbe tutto ciò che si riferisce alle note di passaggio, ai pedali eccetera, mentre dall' altro lato si condannano alcuni fatti come erronei solo perchè non quadrano coi principj fondamentali spacciati per veri.

Non havvi di veramente fecondo se non che un solo principio che governi tutta una speciale materia. Parecchi principii sono segno di povertà anzi che di ricchezza. La povertà nell' ordinamento generale opera in modo che si impedisce la libera manifestazione di tutti i portati dell' arte. Quindi è che lo ingegno umano, insofferente di ingiusto freno, corre con abbandonate redini la sua via, e pare che trasmodi in licenza. Gli armonisti fanno un bel gridare a questi ingegni "voi sbagliate,", e non si accorgono che essi solamente sono i ciechi, che ignorano i nuovi sentieri.

Nel mio sistema troveranno luogo alcune cose che i sistemi precedenti respinsero, perchè non le compresero, e che i migliori ingegni, dallo istinto musicale guidati, hanno felicemente operato; e sono lieto di non trovarmi astretto, per non repudiare le mie teorie, ad accusare i Mozart, i Beethoven, i Rossini, i Meyerbeer eccetera di errori musicali.

Io mi sono proposto un sistema, il quale, mentre accoglie tutti quei fatti armonici, e melodici adottati a tutto oggi con buon successo, lascia la via aperta a molti altri, onde per avventura si arricchisse in avvenire l' arte. A questo effetto ho studiato le leggi della armonia, e della melodia nella umana natura, e particolarmente nei fenomeni della udizione. Per il primo, mi penso, ho indirizzato la [-5-] attenzione degli studiosi intorno alle due facoltà che costituiscono il così detto orecchio musicale. Io mi immagino di avere così se non tolte affatto, diminuite certo, le difficoltà per la formazione di un sistema vero di armonia, mediante la distinzione importantissima della sensazione dalla percezione, sulla quale intendo alquanto intrattenermi in questa Introduzione.

Se col nostro spirito analizziamo una cantilena qualunque troveremo che i varj suoni, onde è composta, ci impressionano in due modi distinti; onde siamo condotti a concludere che nel nostro udito due facoltà essenziali vogliono essere avvertite. Primo: Ogni suono appartenente ad una data cantilena produce in noi una impressione semplice, identica anche allora che lo stesso suono venga udito separato dagli altri; per la qual cosa chiameremo questa impressione melodico-pura. Secondo: Questi suoni medesimi noi sentiamo in relazione con altri suoni, i quali, o percuotono il nostro orecchio, o si presentano spontaneamente nella nostra fantasia. Quest' altra impressione che succede alla prima verrà significata colla espressione di armonico-pura.

Se queste due facoltà procedessero sempre con pari energía, certamente il loro studio apparterrebbe più al filosofo che al musicista; ma dappoichè non si esercitano l' una rispetto all' altra con un ordine costante, e da ciò nasce che l' animo nostro trovasi diversamente dalla musica impressionato, non solo utile, ma necessaria cosa è che il musicista entri per questo riguardo un tantino nel campo della filosofia.

Una delle sopraddette facoltà è la sensazione; l' altra la denominai percezione. Seguendo, come che di volo, la storia della armonia, e della melodia osserveremo ora l' una di queste facoltà prevalere all' altra, ora tra loro contrappesarsi; [-6-] ed anzi da questa varia loro respettiva relazione ritrarremo la ragione ultima delle vicende della storia della musica.

Non è sfuggita a molti filosofi ed armonisti la insufficienza della sola sensazione per rendere ragione dei fatti musicali.

Alcuni filosofi ed armonisti antichi e moderni si sono accorti che, oltre la sensazione, altra facoltà abbisognava supporre rispetto ai fenomeni musicali; e come che niuno propriamente la appellasse percezione, pure vagamente le attribuirono quelle proprietà, le quali io ho forse meglio indagate, e significate col nome di percezione.

L' onore che si ebbe la musica in ogni tempo è testimone della sua importanza; nè questo onore si riferiva solamente alla efficacia sua, ma estendevasi all' organo stesso dell' udito, il quale fu tenuto nobilissimo sopra gli altri. Aristotile (nel Trattato delle sensazioni) facendo paragone tra la vista e l' udito, dice quella facoltà essere più importante per i bisogni dell' animale, e questa ultima, come che indirettamente, per la intelligenza; tanto che afferma da ciò provenire che i cieco-nati sono più intelligenti dei sordo-muti. Fra gli antichi musicisti vuolsi rammentare Pittagora, il quale oltrepassò di troppo i limiti del vero, negando alla sensazione molte delle sue virtù riguardo alla musica, e ponendo giudice l' intelletto mediante certe formule matematiche. Il suo avversario Aristossene (negli Elementi armonici) considerando i suoni nella loro successione, si avvide della necessità che aveva l' animo nostro di compararli, e perciò scrisse che la intelligibilità della musica consisteva nel sentimento, e nella memoria, e che bisognava non solo sentire i suoni, ma ricordarsi di quelli già uditi per comparare gli uni agli altri, chè diversamente era impossibile seguitare [-7-] un canto qualunque. È chiaro che questa facoltà speciale all' udito, è diversa dalla memoria.

Fra i moderni il Leibnizio osservò essere la musica "un calcolo occulto che l' anima fà inconsapevole", per la qual cosa venne a stabilire una importante differenza tra la sensazione acustica, e le altre sensazioni.

L' Eulero (in una delle sue Lettere ad una principessa di Alemagna) aveva cercato la analogia tra i colori ed i suoni, e da questa analogia fu mosso il Kant (nella Critica del giudizio) a supporre la esistenza di una sensazione particolare, di cui per altro non seppe decidere se abbia il suo principio nel senso, o nella riflessione. La analogia tra i suoni, ed i colori è vera fino ad un certo punto, quando si consideri in uno spazio determinato; ma cessa laddove la impressione acustica venga considerata rispetto a varie epoche; chè in tal caso, a differenza della impressione visiva, non conserva più la sua identità.

Il Reid presentì la insufficienza della sola sensazione allor quando (nelle sue Ricerche sull' umano intendimento) disse: "Benchè l' udito ci renda capaci di percepire l' armonia, la melodia, e tutte le attrattive della musica, pure tutte queste cose per essere ben sentite sembrano ricercare una facoltà più pura, e più eminente, che si chiama orecchio musicale. Ma poichè questa facoltà sembra esistere in differente grado presso coloro che al medesimo grado posseggono la semplice facoltà dell' udito, noi non la annoveriamo tra i sensi esteriori; essa merita un posto più segnalato".

Il Villoteau (nelle sue Ricerche sulla analogia della musica, eccetera) stima l' udito rispetto agli altri sensi come l' uomo a rispetto degli altri animali, e soggiunge: "l' udito pare privato dei mezzi che soccorrono gli altri sensi, come ancora del sussidio di questi in parecchi casi, solo perchè, essendo destinato particolarmente a trasmettere la espressione [-8-] dei sentimenti che si manifestano per la voce, aveva bisogno di acquistare, mediante un esercizio frequente, un tatto più delicato, e sottile per accorgersi agevolmente di tutte le modificazioni infinite dei suoni, e trasmetterli fedelmente all' anima". Come che poetica questa comparazione, pure pone in rilievo felicemente la natura progressiva della percezione musicale.

Merita anche menzione il Choron, che (nel Nuovo manuale di musica per Choron, e Adriano de La Fage) parlando della natura degli intervalli armonici, osservò che udendo simultaneamente due suoni si riceve una doppia impressione, l' una chiama Eufonia, che è propriamente la sensazione; l' altra denomina Dinamia, che viene dopo la prima, e suppone una specie di riflessione, e consiste nel bisogno di moto, o riposo, il di cui sentimento più o meno forte accompagna questa medesima sensazione. Cotale energia degli intervalli resulta, secondo il Choron, intieramente dalle proprietà che posseggono i toni onde sono formati, dei quali gli uni sono naturalmente stabili, gli altri appellativi come la quarta maggiore, la quinta falsa, e gli intervalli alterati. È chiaro che il Choron ha esaminato questa energia in modo incompleto, perchè non la considerò che in un solo ordine di fatti, cioè negli armonici: ora tale energia esiste, come vedremo, ugualmente nei fatti appartenenti alla melodia.

Il Fetis ha toccato in vari punti delle sue opere questo argomento; ma tutto che riconoscesse una facoltà superiore alla sensazione, ne parlò alla sfuggita, e parve non annettervi la debita importanza. Nel suo Trattato di armonia ammette brevemente due sole facoltà; l' una è la sensibilità, l' altra è la intelligenza. Cotale distinzione è confusa, ed inesatta. "La sensibilità, egli dice, percepisce i rapporti dei suoni, e la intelligenza li misura e ne deduce le conseguenze".

[-9-] Io non intendo chiaramente quale differenza corra tra percepire i rapporti, e misurarli; ma, comunque sia, a me pare che i fenomeni della tonalità, su cui fondasi il sistema di armonia, non siano l' oggetto immediato della intelligenza, bensì di una facoltà media tra il senso e l' intelletto, che è quella che chiamai percezione. La intelligenza non opera effettivamente nella musica, se non laddove questa arte è adoperata ad esprimere le passioni, e le emozioni dell' anima. Per altro il Fetis in altri luoghi delle sue opere si esprime alquanto diversamente. Nella Biografia dei musicisti, nell' articolo Fetis, dice che "l' orecchio non è che un organo di percezione, il quale non valuta (apprécie) i rapporti dei suoni; e che questa valutazione è l' atto di una speciale facoltà". Parlando poi di questa facoltà di valutazione, afferma che essa non stabilisce in modo assoluto le idee di convenienza, e di sconvenienza dei rapporti; il che egli appoggia adducendo le varie scale tonali presso i diversi popoli, e notando le sensazioni opposte che esse sviluppano presso gli individui, che vi sono abituati, e presso quelli che vi sono alieni. Molta oscurità incontrasi nella suddetta opinione del Fetis, e specialmente quella espressione di sensazioni opposte mi dà indizio che egli, non avendo separato convenientemente la sensazione dalla percezione, riferisse quella opposizione che si osserva alle sensazioni; il che è impossibile: laddove ella si riferisce piuttosto alle percezioni. Ad ogni modo al Fetis spetta il merito di avere più addentro che altri spinto le indagini nella metafisica della musica, rigettando ad un tempo tutti quei principj appartenenti alle scienze fisiche, e matematiche, ne' quali si affaticarono invano i teorici prima di lui di ricercare le leggi della armonia.

Anche il Boucheron (nella sua Scienza dell' armonia) ammette, oltre la sensazione, una facoltà particolare, per mezzo [-10-] di cui possiamo giudicare delle qualità e relazioni vicendevoli dei suoni; ma non dà al suo concetto quello sviluppo che gli sarebbe stato necessario.

A me è sembrato che tornasse di grande utilità allo studio della musica lo abbandonare ogni sottile investigazione psicologica e metafisica, restringersi ai fatti esterni della udizione, e coordinarli in modo che ci porgano il lume necessario a fondare il nostro nuovo sistema di armonia. Innanzi tutto giova separare la sensazione propriamente detta, immutabile e costante, da ciò che di mutabile l' accompagna, e che chiamai la percezione. La utilità di questa distinzione si conoscerà meglio nelle applicazioni che ne faremo studiando i principali fenomeni della percezione musicale, e comparandoli a quelli della pura sensazione.

Procedendo in sì fatta guisa vedremo cessare la lunga lotta tra i teorici da una parte, che male valutando il senso dell' udito cercarono nelle scienze fisiche e matematiche le basi immutabili della musica, ed i pratici dall' altro canto che guidati dall' istinto si ingegnarono di oltrepassare gli arbitrari confini posti alla musica dai teorici. Questi ultimi, ove studino convenientemente i fenomeni della percezione vi scopriranno le vere e più progressive regole per l' arte; ed i maestri compositori troveranno in queste regole, frutto della osservazione ed esperienza di molti, quel sussidio valido, ed efficace, che invano la loro propria limitata esperienza potrebbe fornire.

La percezione musicale è bensì mutabile; ma cadrebbe in errore chi credesse cotale mutabilità essere arbitratria, e non rispondente a certe condizioni, le quali veramente possono variare, ma finchè perdurano la percezione vi si conforma. Queste condizioni sono in sostanza i principj che [-11-] governano le tonalità diverse che si successero nel giro della musica.

Questi principj lasciano per altro un vasto campo alla percezione, tanto che può esercitarsi in due modi; l' uno che direi a priori, l' altro a posteriori. Il primo è il più naturale, e si riferisce a quei cambiamenti armonici che, fra i tanti possibili, sono i più conformi a quei toni e modi particolari, i quali signoreggiano in cotal guisa la nostra fantasia ed immaginazione nel momento che la percezione si esercita: il secondo modo di percezione si riferisce alla tonalità generale; ma non alle sue specialità di toni e modi diversi, per la qual cosa la percezione alla bella prima si trova offesa, il che avviene comunemente nelle così dette cadenze d' inganno. In cambio di una percezione ha effetto in quell' istante una decezione; ma ben tosto si ristabilisce un legame di tonalità tra le parti che sembravano da prima fra loro repugnanti, e la percezione ripiglia la sua maggioranza; il che dimostra la pieghevolezza della percezione, onde si genera tanta varietà nella musica, da cui l' osservatore superficiale rimane oltremodo meravigliato e sopraffatto.

La percezione per questa sua rendevolezza è una facoltà eminentemente educativa.

La differenza tra la percezione e la sensazione non consiste in altro se non in questo, che la sensazione è un atto, una impressione che non oltrepassa se medesima; laddove la percezione si riferisce alla tendenza, o alla affinità di alcune sensazioni sonore verso altre, che vengono richiamate alla memoria. Il suono che torna alla memoria per opera della immaginativa, vogliam dire il suono percepito, può acquistare tanta efficacia, come vedremo, da vincere, fino ad una certa misura, nell' animo nostro la forza del suono sentito. Questo fatto singolare è sfuggito alla osservazione [-12-] di tutti i Psicologi, ed anche dei Teorici musicisti; ed è su questo singolarmente che invito l' attenzione del Lettore.

Non si confonda la percezione colla delicatezza dell' udito. Tutto giorno osserviamo persone di udito finissimo e delicato, che hanno non pertanto, come suole dirsi, pessimo orecchio: dove che altri, poco meno che sordi, ci muovono meraviglia per la facoltà loro di discernere le più fuggevoli particolarità dell' armonia.

La percezione non vuole essere anche confusa colla memoria acustica quanto al concetto che ci formiamo delle varie frasi melodiche. La memoria unisce in certo modo meccanicamente le note che si seguitano, ma non ha la virtù di darci l' intuito d' una frase melodica; la quale non è già solamente una semplice successione di note, ma una successione che mostra un legame vicendevole tra le note, e per la tonalità, e per il ritmo, onde assumono tutte assieme un significato dinanzi alla nostra percezione, che è propriamente quello della frase musicale.

Le differenze che si scorgono nella percezione possono studiarsi in rispetto ad un tempo medesimo, e in rispetto a varj tempi successivi. Se indagare vogliamo tali differenze senza oltrepassare un tempo determinato, queste ci verranno fornite e dalle nazioni diverse, e dai varj individui, ed anche da un individuo medesimo.

La diversità nella percezione che si osserva in popoli differenti, tutto che abbiano coscienza della stessa tonalità, è principalmente riposta nel diverso indirizzo preso della percezione stessa. Noi ne vediamo l' effetto ponendo a riscontro il popolo Italiano col Tedesco.

[-13-] Gli Italiani godono della facoltà di percepire le melodie ad un grado maggiore forse che tutte le altre nazioni; e di qui è che in Italia si odono le più lunghe, e meglio sentite melodie, le più connesse, e divise in più parti un tutto formanti dal pubblico Italiano agevolmente compreso. E tanta è la forza di questa qualità di percezione, che i maestri italiani, anco i più mediocri, scrivono delle melodie lunghissime senza stento, sieno pure poco originali, che ciò non combatte la mia osservazione. Per contro i Tedeschi, che difficilmente trovano la melodia, hanno molta disposizione ad armonizzare. Per le quali cose non di rado accade che un Italiano si disgusti di certi intrecci armonici e lontane modulazioni, e trovi tronche le melodie dei Tedeschi, in tanto che questi con molti sforzi si ingegnano d' intendere il significato di quelle melodie che fanno la delizia del nostro popolo italiano. Gli Italiani perciò chiamano astrusa e artificiosa la musica germanica, ed i tedeschi reputano leggiera e senza nervo la musica italiana. Tutti hanno torto e tutti hanno ragione, secondo in che aspetto si considerano le censure di una parte e dell' altra. È a desiderarsi però che in amendue i popoli più musicali del mondo le due qualità di percezione si uniscano per il maggiore trionfo dell' arte. Queste due qualità di percezione non sono essenzialmente fra sè opposte; l' una, che potremmo appellare di simultaneità, penetra profondamente nel nesso armonico; l' altra cui conviene il nome di successività, abbraccia, come in una vastissima superficie, la melodia: si tratta adunque di una differenza di direzione, che può anco regolarsi collo studio e l' abitudine, come lo dimostrarono già alcuni eletti ingegni, così italiani, come tedeschi, fra i quali Mozart e Cherubini, e per non citare altri, Meyerbeer.

Prendendo adesso ad esaminare la percezione nello stesso individuo, o in diversi, ci si porgono alcuni fatti importanti.

[-14-] Posto che un dato suono produca sempre la stessa sensazione nell' uomo in condizione fisiologica, non sempre l' accompagna però la percezione medesima. Fate che due persone odano separatamente la frase che si vede nell' esempio primo, ma in modo che ognuna di esse la senta con un diverso accompagnamento, quale è notato agli esempi secondo e terzo:

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: INFLUENZA DELL' ARMONIA SULLA MELODIA, Gli stessi suoni percepiti diversamente] [BASINTR 01GF]

avverrà che ripetendosi poi, dinanzi alle medesime persone riunite, la suddetta frasetta, ma senza l' accompagnamento, riceveranno esse bensì la stessa sensazione, ma la percezione sarà diversa, tantochè se si cambiasse l' accompagnamento da prima udito da ciascuno, parrebbe loro variata la melodia medesima.

Alcuni vanno oggi profetizzando certa musica dell' avvenire, che consiste nel torturare la melodia, forzandola ad unirsi con quelle armonie, le quali, tutto che non offendano il senso, repugnano bensì al genio di quella melodia che ne avrebbe naturalmente suggerite altre differenti; laonde torna contraffatta, e pare cangiata al tutto l' essenza sua. Si distrugga prima la melodia, ma non si alteri in così fatta maniera. Chi riconoscerebbe la bella frase "Prendi l' anel ti dono" nella Sonnambula del Bellini come è espressa nel l' esempio quarto, ove la si accompagnasse come all' esempio quinto?

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: Tortura delle melodie; Andante, Prendi l' anel ti dono, Bellini, Sonnambula] [BASINTR 01GF]

Le note della melodia sono veramente le stesse, ma in che modo torturate!

Gli esempj ora addotti ci mostrano come la stessa melodia, posta in differente relazione armonica coll' accompagnamento, cangia, per dir così, di fisonomia per opera della percezione. Accade ancora, e per la ragione medesima, che, ove si mutino i suoni che entrano nella melodia, il motivo si conserva identico, quando non si cangi la relazione armonica. Gli esempi sesto e settimo ci danno due successioni fatte con suoni diversi, che nondimeno cantano similmente, perchè essendo in toni diversi, la armonica relazione è supposta la medesima.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: Identica percezione di suoni diversi] [BASINTR 01GF]

[-15-] Abbiamo finora ragionato della influenza della armonia sulla melodia; ma dappoichè anche la melodia influisce sulla armonia diremo pure qualche cosa di questa influenza melodica.

I suoni che si succedono, e che compongono la melodia sono capaci di varie tendenze fra loro, tanto che ove si effettui o l' una o l' altra di queste tendenze, operano sull' armonia che li accompagna in modo da tramutarla, e farla percepire diversamente. A ciò non posero mente gli Armonisti, che per levarsi d' impaccio inventarono l' espressione di note di passaggio, per indicare tutte quelle note che, reputate estranee alla scala diatonica, sembrò loro, erroneamente, non esercitassero altro ufficio che di riempire i vuoti, e di passare senza lasciare traccia di sè. Io recherò adesso alcuni passi melodici con le pretese note di passaggio, le quali faranno palese quanta efficacia s' abbiano nella musicale percezione, fino a renderci grate, o disgustose alcune modulazioni.

E nel vero, se, mentre adopero la successione armonica come all' esempio ottavo, farò sentire durante la prima battuta la melodia dell' esempio nono, la risoluzione nel tono di do riuscirà asprissima. Nè si creda che ciò dipenda perchè havvi nella melodia il la diesis: imperciocchè se si adoperasse in vece l' altra melodia dell' esempio decimo, ove entra parimente il la diesis, non si renderebbe punto disgustosa la modulazione; come non la farebbe tale anche la melodia dell' esempio undicesimo nel quale trovasi il do diesis.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: INFLUENZA DELLA MELODIA SULL' ARMONIA, Andantino] [BASINTR 01GF]

Or bene, se nè il la diesis nè il do diesis, per loro stessi, disturbano la successione degli accordi dell' esempio ottavo, perchè cotale modulazione è incomportabile nel primo caso? Se riandate i sistemi vigenti non so che cosa potreste trovare per illuminarvi, nè so immaginare che vi risponderebbero i loro difensori, quando si facesse osservare che il do diesis è [-16-] nota di passaggio in tutti due gli esempi recati. La vera ragione deve loro sfuggire, imperciocchè in questi sistemi non si bada punto se una nota di passaggio sia collegata per naturale tendenza all' una o all' altra delle note che la avvicinano, e per conseguenza è ignorato il principio delle attinenze, che accenneremo appresso. Intanto diremo, per darne una qualche idea, che il do diesis nel primo passo melodico fa l' appoggiatura al si e non al re, ed il contrario accade nell' ultimo esempio; per la qual cosa, come altrove dichiareremo, l' accordo sol si re è percepito naturalmente nella tonalità di re, anzi che in quella di do; quindi è che dee risolvere nell' accordo di re maggiore.

La sensazione è per sua natura invariabile, di modo che con essa la musica avrebbe poco campo da arricchirsi; ma la percezione è fonte di infinite combinazioni, le quali porgono al compositore infiniti modi di far valere l' ingegno suo. Onde ognuno vede quanto sia importante lo studio della percezione musicale, come quella in cui dimorano la massima parte dei segreti della melodia e della armonia.

Considereremo adesso brevemente la percezione rispetto al processo del tempo, in varie epoche successive, nelle quali essa tiene relazione diversa colla sensazione: onde nascono tre periodi diversi nella storia della musica. Primo, quando la sensazione ha il predominio sulla percezione: secondo, quando si contrappesano tra loro la sensazione e la percezione, e si moderano a vicenda: terzo, quando la percezione prevale in qualche modo alla sensazione. Di questi periodi faremo brevissimo cenno, tanto che basti a far chiaro il Lettore della necessità di un Sistema di armonia più acconcio allo stato cui oggi è pervenuta l' arte.

[-17-] Tacerò della musica dei Greci, perchè poco, o nulla ci rimane di quella, che ajuti la nostra indagine circa al grado di percezione, cui si riferiva; ed i pochi frammenti di musica greca che si sono ritrovati, concesso pure che siano pervenuti illesi, ed interpretati siano in modo esatto, riescono di pochissima luce per rischiarare questa difficile materia. È rimasto sempre sul forse se i Greci abbiano o no conosciuta e adoperata la armonia contemporanea, o come diremmo noi, il contrappunto. I più tengono per il no; ad ogni modo doveva essere imperfettissimo cotale contrappunto, perchè quelle consonanze che oggi sono le più adoperate, come le terze e le seste, erano discordanze presso i Greci reputate, non numerandosi allora altre consonanze fuori della quarta, quinta, e ottava. Nè vale il dire che le terze erano necessariamente discordanti nei tetracordi greci, ove si succedevano due toni maggiori; perciocchè dipoi furono ridotti da Didimo, l' uno maggiore e l' altro minore, e non ostante, anche per lungo tratto del medio evo, le terze e le seste non vennero tenute per consonanti. Sicchè veramente la percezione, e non la sensazione fece difetto. E di ciò niuno ci fornisce più concludente prova di Aristosseno, il quale, quantunque si rimettesse al giudizio dell' orecchio, pure non gli venne fatto di costruire il tetracordo secondo che la percezione moderna a noi detta. Da questo fatto si trae ancora argomento contro il sistema basato sulla risonanza dei corpi; perchè non essendo le terze percepite dagli antichi come consonanti, si mostra la niuna efficacia di questa risonanza naturale sul nostro orecchio; onde siamo costretti a confessare che la percezione melodica e armonica presso i Greci fosse alquanto differente da quella dei moderni.

E maggiormente ci persuaderemo che i Greci dovessero percepire secondo alcune leggi assai diverse da quelle che governano la nostra tonalità, e quindi non secondo i principj [-18-] armonici che regolano tutte le nostre melodie, quando consideriamo che il tetracordo greco era l' opposto del nostro. Nel nostro il semitono si trova tra il terzo e quarto grado, sul quale si opera cadenza efficacissima; laddove i tetracordi greci, portando il semitono fra il primo ed il secondo grado, fuggono cotale cadenza, e quindi è probabile che tra i varj suoni che li componevano fossero percepite altre tendenze a noi oscure.

I tre periodi nella istoria della percezione incominceremo adunque fino da quando possiamo avere maggiore contezza della musica, cioè dal medio evo, osservando ancora quei tempi di transizione che legano l' un periodo all' altro.

II.

PRIMO PERIODO.

Predominio della Sensazione.

In questo periodo considereremo il canto fermo, basato sulla tonalità antica; la prevalenza delle consonanze nelle composizioni; le dissonanze adoperate di rado, e come ritardi; e le note di passaggio ci guideranno come transizione al secondo periodo.

Ove si osservi la musica dei primi secoli dell' Era volgare, si vedono praticate per ordinario le note col massimo valore, e senza alcun ritmo; sicchè la percezione del legame tra le note stesse era poco, o nulla sviluppata. Un concetto vago di tonalità permetteva alla debolissima percezione di aggruppare i varj suoni, onde emergeva una fievolissima [-19-] idea melodica, che per lunga consuetudine poteva rimanere nell' animo impressa.

Nacque poi la misura, e quindi il valore delle note è andato vieppiù diminuendo, tanto che si poterono adoperare nel medesimo spazio un maggiore numero di suoni.

Il ritmo agevolò la percezione a cagione degli accenti musicali che ne nacquero, onde la nota accentata diveniva naturalmente come un centro di comparazione, per cui le note anteriori e le posteriori poterono più agevolmente consociarsi, e la melodia venne ad acquistare più sostanza.

I vari toni del canto fermo, sorretti poi dal ritmo, si stabilirono meglio; ma non per tanto mantenevano un non so che di incerto nel nostro udito, che li faceva quasi dileguare al primo soffio.

Se si considerano presentemente i toni, e modi antichi, detti Ecclesiastici, di leggieri altri si accorge che non sono se non varietà di uno stesso tono. Ed io non posso unirmi alla opinione di Felix Clement, il quale, nella sua Storia generale della Musica Religiosa, pensa che le due nostre modalità maggiore e minore stiano al canto Gregoriano come i canali rispetto ai fiumi; anzi opino, che i toni antichi più presto potrebbero risguardarsi come varietà, o meglio scomposizioni dei nostri toni moderni, in tanto che avessero perduto ogni sapore colla perdita della nota sensibile, caratteristica della moderna tonalità. La distinzione dei toni autentici e plagali, mostra altresì quanto debole era anticamente il sentimento di riposo cadenzale.

Coll' avanzare della percezione, quel sentimento del riposo tonale, quale si conseguiva mediante gli antichi toni, riuscì sempre più debole, tanto che a poco a poco portò la rovina di quei toni medesimi, i quali insensibilmente vennero meno. Ed il Galilei, nel suo Dialogo della musica antica e moderna, asseriva già nel 1581, che i modi erano tutti di [-20-] un colore, odore e sapore; e Giovanni Battista Doni, nel 1635, nel suo Compendio del trattato dei generi e modi, scriveva: "E però noi vediamo che molti dei più sensati musici e più intendenti, tengono questi modi per una baia e non ci badano niente."

Non arreco già questi passi perchè i loro autori intendessero bene fino da quel tempo la moderna tonalità; chè anzi pretesero vanamente fare rivivere la tonalità dei Greci, mediante gli insufficientissimi dati che avevano per le mani; ma perchè ad ogni modo fanno manifesto che i toni ecclesiastici, in sul finire del secolo XVI, non erano più capaci di soddisfare alla percezione.

Il Fetis, che ha divisa la istoria musicale in varie epoche dell' arte, secondo che gli parve corrispondessero ad un ordine tonale diverso, assegnò alla prima epoca l' ordine unitonico, attesochè le varie modulazioni della musica dei primi secoli non gli sembrarono mai uscire da un solo tono.

Quando cominciò in Europa nel medio evo ad adoperarsi l' armonia, non si conoscevano altre consonanze, eccetto che le combinazioni semplici di quinte, quarte, e ottave; e le composte di doppia ottava, e di ottava unita alla quarta o alla quinta. Il che si nota negli scrittori dal VI fino al IX secolo, cioè da Isidoro di Siviglia a Hucbaldo.

Hucbaldo, scrittore della fine del secolo nono, ci porge alcuni esempi di questa armonia, chiamata Diafonía. L' esempio dodicesimo ci somministra una successione di quinte, e l' esempio tredicesimo di quarte.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: DIAFONIA PRIMA SPECIE, Melodia, Accompagnamento, Nos qui vivimus benedicimus dominum ex hoc nunc et usque in soeculum, et cetera] [BASINTR 01GF]

I tritoni e le quinte false, che s' incontrano negli addotti esempi, erano forse evitate mediante gli accidenti aggiunti alle note, come osserva il Coussemaker nella sua Storia della armonia del medio evo.

Il Fetis, nel Compendio filosofico dell' istoria della musica, [-21-] combattendo il Kiesewetter, il quale, nella sua Istoria della musica occidentale, negava la esistenza di quegli Organi costruiti in guisa da dare le successioni di quarte e di quinte; considera saviamente, che la educazione dell' orecchio può svilluppare dei gusti tanto differenti, che non vi sono regole generali per le sue impressioni. Coussemaker riflette, che udendo noi oggi la combinazione di quinta, siamo portati ad aggiungervi la terza per costruire l' accordo perfetto; per la qual cosa il seguito delle quinte adesso ci ferisce come fosse una successione di accordi perfetti; ma nel medio evo non esisteva l' accordo perfetto, sicchè la combinazione di quinta non poteva anco supporlo; quindi è che cotali successioni di quinte facevano allora diversa e meno ingrata impressione. Checchè ne sia, questi fatti dimostrano il variare della percezione, e confermano la utilità di distinguere la sensazione dalla percezione.

Mentre veniva meno l' uso della Diafonía, cioè delle quarte, delle quinte, e delle ottave di seguito, compariva il così detto falso bordone a sostituirla con le successioni delle terze con le seste; intervalli che in addietro erano tenuti per dissonanti. Fino al tempo dello Zarlino questo falso bordone fu in gran credito, e lo Zarlino lo biasima perchè contiene un seguito di quarte nella parte acuta, che rovesciate diverrebbero un seguito di quinte. Io ho tolto l' esempio quattordicesimo dalle sue Istituzioni armoniche.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: FALSO BORDONE, Zarlino, Istituzioni eccetera] [BASINTR 01GF]

La quarta, che al tempo dei Greci veniva concordemente reputata consonante, cominciò in questo periodo a perdere tale qualità; il che non può intendersi che rispetto alla percezione; perchè la sensazione non variò certo, essendo quest' intervallo stato sempre identico.

In un Trattato sul Discanto volgare, conservatoci da Girolamo [-22-] di Moravia, e che Coussemaker riporta nella suddetta sua Storia eccetera, si legge: "Le migliori consonanze sono l' unisono, la quinta e la ottava. Gli altri intervalli sono piuttosto dissonanze."

Questo mutamento nella percezione della quarta, forse potrebbe spiegarsi considerando che, fin tanto che le terze erano collocate tra le dissonanze, la quarta, non potendo avere tendenza alcuna verso la terza, acquietare doveva il nostro udito con un senso di riposo. Ma dipoi, di mano in mano che le terze furono percepite meno dissonanti, fino quando generalmente apparvero consonanti, questo senso di riposo andò sempre diminuendo, e cessò là dove la quarta in certi casi comparve come un ritardo della terza.

I Teorici furono divisi di opinione intorno al modo di valutare la quarta, e lo Zarlino, nelle Istituzioni eccetera, per riverenza alla antichità, la volle consonante, e ne addusse tali ragioni, alle quali è verosimile che egli stesso non prestasse fede.

Anche oggi i dispareri continuano circa questo argomento, ma havvi concordia per altro nell' affermare che la quarta non è più capace di fare un riposo; ed anzi, tendendo a risolvere nella terza, acquista una certa qualità che la rende simile alle dissonanze, le quali per loro natura non acquetano l' udito, e vogliono risolvere in altra combinazione armonica.

Giova però avvertire, per meglio intendere il progresso della percezione, che questa tendenza della quarta non fu sempre così efficace, come in questi tempi moderni, dopochè la tonalità nuova ha trionfato. Ed invero lo Zarlino, nelle dette Istituzioni, asserisce che le consonanze perfette, tra cui pone la quarta, fanno sì che l' udito non desidera più oltre. Il che poteva accadere allora, come tempo di transizione tra le due tonalità antica e moderna; ma oggi non sarebbe più possibile.

[-23-] Guido Aretino, come osserva Burney (nella Storia della musica eccetera), fu il primo ad esaltare la terza al grado di concordanza.

Le terze maggiori e minori furono comprese tra le consonanze, sebbene imperfette, da Francone di Colonia nel secolo XI, e da altri scrittori della stessa epoca. La quinta e la quarta erano collocate tra le consonanze medie. Le perfette erano l' unisono, e la ottava. Le seste maggiori e le minori venivano tuttavia comprese tra le dissonanze imperfette, cioè tra le più tollerabili. Queste varie classazioni, sebbene non mostrino esattamente il progresso della percezione, pure sono prova della lotta che avveniva ogni tanto tempo tra la sensazione e la percezione, tra la pratica avventurosa e la teorica per indole sua avversa al mutamento.

Filippo di Vitry, verso la fine del secolo XIII, secondo un manoscritto col titolo Ars Contrappunti, copiato dal Danjou, pone tra gli intervalli consonanti perfetti l' unisono, la quinta e la ottava, tra gli imperfetti le terze e seste maggiori e minori.

È curioso che Burney (nella citata Istoria della musica) confessa di non potere intendere perchè la sesta minore venisse chiamata discordanza da Francone, e non fosse annoverata da Giovanni di Muris tra le consonanze, laddove è una inversione della terza maggiore, che ambedue i detti scrittori reputarono consonante. Ciò non fa meraviglia, perchè, mediante la inversione, si possono percepire nuove tendenze, come avviene per la quarta; rispetto alla quale altri ci potrebbe opporre ugualmente, che noi la poniamo tra le dissonanze, mentre reputiamo consonanza perfettissima la quinta, di cui è il rivolto.

Noteremo ancora il progresso della percezione quanto alle terze, e seste, le quali prima erano dissonanze, quindi divennero consonanze imperfette, ed oggi sono tra le più vaghe [-24-] e gradite. Le terze e le seste, fino al tempo dello Zarlino, ed anche qualche spazio di poi, erano percepite come tendenti verso altro accordo. Lo Zarlino, ed altri autori di quel tempo, ci lasciarono scritto che queste terze, e seste maggiori tendevano a risolvere le une in quinta e le altre in ottava; dove che le minori cadevano nell' unisono, e nella quinta. Oggi invece alla nostra percezione non manifestano niuna tendenza, cosicchè intervenne a queste combinazioni lo inverso che alla quarta, la quale oggi è percepita con particolare tendenza, che molto tempo addietro non mostrava.

Gli antichi, oltrepassati i primi tempi della infanzia della armonia, e principiato a percepire un certo legame tonale, presero in orrore le ottave, e specialmente le quinte di seguito per moto retto. Era tale l' orrore, che non solo le più evidenti, cioè quelle che di fatto esistevano, erano proibite, ma perfino il sospetto delle medesime!!

Le prime dissonanze comparvero senza apparente legame nè colla nota precedente, nè colla seguente, come si osserva negli esercizj di Hucbaldo intorno la Diafonía di seconda specie, e che riporto all' esempio quindicesimo. Questo modo di dissonanze si accosta alle così dette note di passaggio. In processo di tempo le dissonanze vennero adoperate come ritardi di accordi consonanti, e quindi dovettero trovarsi necessariamente preparate.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA I; text: DIAFONIA SECONDA SPECIE, Te humiles famulis modulis venerando piis] [BASINTR 01GF]

La preparazione di tutte le dissonanze veniva raccomandata perchè, non essendo percepite nella loro relazione colla nota in cui si facevano risolvere, altro modo non vi era di intonarle e di comprenderle, fuorchè come facienti parte di un precedente accordo consonante.

L' obbligo assoluto della preparazione fu ammesso fino al tempo del Monteverde, come appresso vedremo.

[-25-] Oltre le dissonanze come ritardi, si continuò ad adoperare le dissonanze sciolte, dette poi note di passaggio. Rigorose regole furono prescritte perchè non se ne abusasse. Queste note di passaggio furono considerate generalmente fino ad oggi come note di ripieno, le quali dovevano succedere ad una nota buona, ed usarsi nel tempo debole della battuta. Benchè venissero cautamente adoperate, pure l' uso sempre più frequente di cotali note porge indizio di un progresso nella percezione. Vedremo più innanzi quante licenze si prendessero di poi i Maestri circa questa qualità di note, e la importanza che acquistarono finalmente nella melodia.

Per formarsi un concetto della musica più perfetta di questo periodo, non ostante i tanti vincoli e la tanta povertà di combinazioni, recherò all' esempio sedicesimo un brano di musica tratto dal Benedictus della Messa di Papa Marcello del Palestrina.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA II; text: CONTRAPPUNTO NEL SEDICESIMO SECOLO, Soprano, Alto, Tenori, Benedictus qui venit, Palestrina, Messa di Papa Marcello] [BASINTR 02GF]

La debolezza della percezione condusse gli Armonisti a ricercare i principj dell' arte loro nelle scienze esatte, e quindi si affaticarono assai intorno alle proporzioni degli intervalli. Entrati nella via dei calcoli, falsamente reputata l' unica vera, vi si smarrirono; dettero alle proporzioni la massima importanza, tanto che conclusero che la piacevolezza della musica procedesse dalla semplicità delle proporzioni medesime, e dall' ordine loro.

Il più eccellente tra i Teorici di quel tempo, lo Zarlino, non meno degli altri, si lasciò ingannare riguardo alla efficacia delle numeriche proporzioni. E per dichiarare fino a qual punto si vaneggiasse allora, riferirò come egli intendesse provare: perchè l' accordo di quarta con sesta minore fosse di tristo effetto, e quasi dissonanza. Egli divise questo [-26-] accordo nelle due combinazioni di quarta al grave, e di terza minore all' acuto: onde ebbe la proporzione di 4 e 3 per la prima, e di 6 e 5 per la seconda. Ora, ciò non gli sembrò conforme all' ordine naturale, imperciocchè fra queste due proporzioni v' ha un' altra media, quella di 4 e 5, appartenente alla terza maggiore. Per questo solo difetto parevagli dovesse riuscire poco comportabile la detta combinazione di quarta con sesta minore. "Nè ciò debbe parere strano ad alcuno (egli soggiunge), conciossiachè quello che interviene al vedere intorno alla cosa visibile, interviene anche alla cosa udibile. Onde, siccome è strana cosa vedere in un edificio alcuna parte posta nel luogo di un' altra, come sarebbe a dire le fondamenta nel luogo del tetto, e nel luogo della porta le finestre, e ogni cosa posta al contrario dei suoi naturali luoghi, e senza alcuna proporzione, così è cosa strana da udire una massa di suoni e consonanze poste insieme senza proporzione e fuori dei luoghi naturali." Quanto fosse lontana questa diceria dal vero, ognuno oggi intende di leggieri; chè la quarta con sesta minore, tutt' altro che di tristo effetto, è combinazione gradevole assai, nè offende punto il nostro udito, ancorchè ne percepisca la tendenza verso l' accordo di terza e quinta, facente cadenza plagale.

Ma i Teorici non si contentarono delle sole proporzioni, ed alcuni, spinti dall' amore del maraviglioso, si aggrapparono perfino agli astri del firmamento per cercarvi la ragione dei fatti musicali, e caddero perciò nelle maggiori stranezze di questo mondo. Fra costoro l' Avella, nelle sue Regole di musica, non dubita dirvi a faccia seria: "Mentre la nostra musica quasi cielo si è dimostrata ornata dei suoi pianeti, segni, ed effetti, è bene che si dimostri come anche abbia, conforme a quello, i suoi ecclissi, e sarà di molto giovamento ai professori suoi." E senza mettere tempo in mezzo va spendendo ben diciotto grandi pagine del suo libro su queste ridicole ecclissi.

[-27-] III.

SECONDO PERIODO.

Parità di forza tra la sensazione e la percezione.

In questo secondo periodo si incontrano nuove e più frequenti dissonanze, alcune delle quali adoperate senza preparazione; onde nacque il cambiamento della tonalità. Le pretese note di passaggio, e massimamente una delle loro principali varietà, le così dette appoggiature, acquistarono somma importanza nella melodia, ed i compositori se ne giovarono spesse volte, non ostante che i Teorici le ponessero tra le licenze, con grave scapito della autorità de' loro ammaestramenti. Cominceremo a vedere i primi segni della prevalenza della percezione sulla sensazione, nella risoluzione lontana delle dissonanze, e nel pedale; che serviranno di transizione al terzo periodo.

Il progresso della melodia e dell' armonia fece ben tosto sentire il difetto della antica tonalità, la quale rendeva troppo incerte e limitate le cantilene. Le cadenze vere ed efficaci divennero quindi un bisogno della melodia, e queste portarono il trionfo della tonalità moderna.

Dicemmo sopra che il tetracordo moderno era l' inverso di quello greco, onde argomentammo che le tonalità cui corrispondevano fossero fra loro opposte. Se ciò fosse vero, la tonalità del canto fermo, che signoreggiò nel medio-evo, starebbe in mezzo tra la greca e la moderna. E in fatto, [-28-] ponendo mente all' esacordo do re mi fa sol la, il quale nella tonalità del canto fermo era chiamato canto per natura, vi si scopre il tetracordo moderno do re mi fa col semitono tra il terzo ed il quarto grado, ed inoltre il tetracordo greco mi fa sol la. In questo esacordo manca necessariamente l' altro tetracordo moderno, il più essenziale ed efficace, sol la si do, che rende completa la nostra scala diatonica nel tono di do maggiore, tipo di tutti i toni maggiori. Cotale difetto si deve attribuire alla natura del canto fermo, che richiede i due tetracordi al tutto uguali fra loro, tanto che il semitono fu ovunque espresso colle sillabe mi e fa, appartenenti al primo tetracordo. Questa è la ragione, credo io, perchè gli antichi non oltrepassassero il la nel solfeggiare, e non immaginassero la nota si; laonde piuttosto vollero obbligati gli studiosi a lunga fatica per apprendere le così dette mutazioni.

Il grado corrispondente alla nota si, segnandosi ora col bemolle, ora col bequadro, diveniva una nota mutabile: il che devesi alla teoria greca dei tetracordi congiunti e disgiunti.

Se nel medio-evo si fosse trovato il si, la percezione avrebbe distinto i due semitoni mi fa, e si do; ora, questa distinzione è appunto la necessaria condizione della tonalità moderna, nella quale il si ha più affinità verso il do nel secondo tetracordo sol la si do, che il mi verso il fa nel primo tetracordo do re mi fa; il che interviene per la influenza del fa, ultimo grado del primo tetracordo, sul sol primo grado del secondo. Tanta è la differenza di efficacia tra il semitono si do, e l' altro mi fa, che il semitono del secondo tetracordo non muta luogo nel salire della scala così nel modo maggiore, come nel minore; laddove il semitono del primo tetracordo non mantiene il suo posto nel modo minore. Il bisogno della nota sensibile, opera questa diversità ne' due tetracordi.

[-29-] Debbo per altro avvertire, che se la tonalità moderna cerca i tetracordi disposti col semitono dopo due toni, non è però che nasca dalla loro successione; perchè la tonalità moderna, come dimostrerò, resulta propriamente dagli accordi che fanno cadenza; sicchè i tetracordi, come sopra descritti, sono l' effetto anzi che la causa della moderna tonalità.

Il si trovò molti oppositori da principio, ed è curioso che i più lo respingessero, reputando dovesse rendere più malagevole il solfeggio. Dapprima il si ebbesi a compagno il sa, come si vede anche insegnato dal Rossino nella Grammatica melodiale, affine di distinguere quando la nota portava il bequadro o il bemolle; ma poi si comprese che questa distinzione non era applicabile alla settima nota meglio che a qualunque altra; talchè il si allora perdette con suo profitto la compagnia del sa. La tenacità dei Teorici nel sostenere le antiche cadenti dottrine ebbe ancora occasione di manifestarsi quanto alla adozione del si, che non ebbe effetto universalmente in Italia, se non verso la fine del secolo passato.

Considerando che i nostri toni moderni portano necessariamente la nota sensibile, riesce aperto perchè nella tonalità del canto fermo, ove la nota sensibile non rilevava molto, si potè distinguere i toni in autentici, ed in plagali.

Come al sistema del tetracordo Greco vedemmo succedere l' esacordo Guidoniano, così a questo oggi finalmente seguitò l' eptacordo.

Il Monteverde, sul cadere del secolo decimosesto, divenne quasi per istinto l' interprete del nuovo bisogno dell' arte musicale rispetto alla trasformazione della tonalità. Dotato della facoltà di percepire, se non ad un grado maggiore [-30-] dei suoi coetanei, certo meno adombrata dal pregiudizio delle Scuole, egli osò adoperare alcune dissonanze fino allora inusitate, ed anco le doppie dissonanze come quelle di quarta e nona, settima e nona, seconda e settima; e perfino senza preparazione la quinta falsa, e la settima. Anzi da questa ultima combinazione il Fetis fa derivare la costituzione della tonalità moderna; imperciocchè la settima minore, considerata dagli antichi come dissonanza artificiale, cioè come ritardo, divenne, mercè il Monteverde, dissonanza naturale e indipendente nell' ordine della tonalità moderna.

Tali innovazioni fecero strabiliare i musicisti di quel tempo. L' Artusi fra gli altri, nelle sue Imperfezioni della moderna musica, dice: "Li nostri vecchi non insegnarono mai, che le settime si dovessero usare così assolute e scoperte;" e per queste e per altre contraffazioni alle regole, dà al Monteverde la nota di corruttore dell' arte; oggi in vece è tenuto per un audace riformatore, e quasi padre della musica moderna!

Dopo la arditezza mostrata dal Monteverde, altri adoperarono alcune dissonanze senza preparazione; ed alquante combinazioni, che una volta riescivano ingrate all' udito, indi a poco tornarono gratissime. Per esempio, la quinta falsa, un tempo detta Diabolus in musica, venne in processo di tempo tollerata, e finalmente gradita, tanto che da qualche armonista recente, come Catel, nel suo Trattato di armonia, fu chiamata consonanza, e reputata capace di un temporario senso di riposo. Anche il tritono, che anticamente si teneva per più orribile ancora della quinta falsa, venne così di poi giudicato dal Gasparini nel suo Armonico pratico, nel 1683: "la quarta maggiore, altrimenti tritono, è sempre dissonante, inusitata dagli antichi, e reputata per asprissima, ed insoffribile; ma viene molto usata dai moderni, mentre [-31-] disposta con proprietà, e con buon gusto, diventa soavissima, ed armoniosa, purchè sia bene risoluta." Vorremo concludere che gli antichi sentissero diversamente dai moderni? No certamente; ma essi percepivano in un modo diverso, o vero diremo meglio, non percepivano affatto la tendenza di questi accordi; onde che quella sensazione aspra non veniva allora convenientemente moderata come oggi dalla percezione.

Le dissonanze in questo periodo crebbero di numero, e giovarono al progresso musicale. E già nel 1640 Pietro della Valle, in una sua lettera al Giudiccioni, confrontando la musica di allora colla più antica, scriveva con meraviglia, che al tempo suo i Maestri avevano: "imparato a valersi fino delle false per fare buonissimi effetti, e delle stesse dissonanze si fanno servire a fare dolcissimi concenti." L' uso delle dissonanze andò vieppiù dilatandosi, e cotal fatto pose necessariamente per lungo tempo la ostinazione dei Teorici alla prova coll' istinto dei Pratici, onde avvenne che quelli perdessero alquanto di autorità; ed il Padre Martini, nella Storia della musica, si lascia fuggire questa confessione: "i principj della seconda Teorica (cioè la Pratica) abbenchè per se stessi stabili, sono però, secondo le varie circostanze, soggetti a tante eccezioni, che hanno condotto alcuni, senza però fondamento, a dire che la musica, singolarmente dei giorni nostri, non abbia principj, ma sia piuttosto un' arte arbitraria, che non dipende che dall' estro, e dal genio del Compositore."

Le dissonanze, che da prima stavano quasi coperte, e nascoste nell' armonia, quando crebbero in dignità, mediante la percezione, ebbero parte rilevantissima nella melodia.

Con queste dissonanze la melodia acquistò la espressione, [-32-] di cui tosto molti si giovarono, e fra questi principalmente Vincenzo Galilei, ed altri della brigata di Casa Bardi in Firenze, verso la fine del secolo decimosesto.

La melodia, come che si vantagiasse di molto con le dissonanze, non per tanto rimase non poco tempo tuttavia inceppata nell' armonia, e non si liberò che assai tardi dalle catene, onde era tenuta avvinta. Eravi quell' accompagnamento, conosciuto anche col nome di basso continuo, che gareggiava prepotentemente col canto: ed i Compositori, quasi cortigiani, per riverenza a questo basso, lo intrecciavano siffattamente col canto, che veniva loro bene di rado fatto di adoperare la melodia nel suo, direi quasi, verginale splendore, e senza essere scossa, e fraudata dagli artificii del suo tirannico compagno. Si guardi l' esempio sedicesimo, che è un brano di una Cantata di Alessandro Scarlatti, ed il lettore leggiermente si farà un chiaro concetto della tirannia dei bassi continui. Si noti come quei si + cadono male in dissonanza di seconda, dove che per la leggiadria del motivo, vorrebbero sentirsi in consonanza.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA II; text: IMPORTANZA DE' BASSI CONTINUI, Fortunati miei martiri Pegni certi di mia fede, Alessandro Scarlatti, Cantata] [BASINTR 02GF]

Da questo esempio, come da molti altri si conclude che la melodia al nascer suo fosse contrariata, ed anco torturata nella guisa stessa che certa musica, oggi da alcuno chiamata dell' avvenire.

La melodia continuò ad arricchirsi mercè i progressi dell' armonia, e avanzò con essa di pari passo. Se non che la vediamo rendersi tanto più indipendente da quella armonia, cui la si obbligava capricciosamente dai maestri di consociarsi, quanto più il progresso della percezione della tonalità moderna rendeva possibile di richiamare alla nostra fantasia quelle armonie, che la melodia stessa naturalmente suggerisce. Per il che, le dissonanze di passaggio, e le altre tollerate quasi alla sfuggita, divennero di mano in mano così piacevoli, che si introdussero, come vedremo, essenzialmente [-33-] nella melodia; la quale non che celarle, o coprirle, ne fece il più soave ornamento, e vi ripose le sue maggiori attrattive.

Nelle prime antichissime cantilene, attesa la debole percezione musicale, le note si succedevano quasi sempre per moti congiunti, o vicini assai; e perfino lo Zarlino, nella metà del secolo decimosesto, raccomandava di schivare a tutto potere i movimenti separati. Dipoi vennero soltanto proibiti certi salti, come quelli di quarta maggiore, di quinta falsa, sesta maggiore, settima maggiore e minore, eccetera eccetera.

Sebbene, proceduto assai il consolidamento della tonalità moderna, non più si osservassero tante restrizioni; tuttavia, per la tenacità dei Teorici, le s' incontrano ne' Trattati raccomandate vivamente, quando ancora erano pressochè al tutto cadute in disuso. Il Penna, che pure scrisse verso il 1670, nel suo libro i Primi albori musicali, condanna, tra le altre, la combinazione di sesta, dicendo: "È la sesta (massime la maggiore) aspra, dura e crudetta, e perciò da servirsene con grande riguardo, essendo assai difficile da porsi in opra nel contrappunto, ed è meglio usarla nel discendere, perchè così riesce meno cruda." Il medesimo quasi ripetè il Tevo, circa trenta anni dopo, nel suo Testore. Che direbbero eglino, ove oggi udissero il nostro patetico Bellini colla sua vaga melodia dei Puritani riportata all' esempio diciottesimo?

[Basevi, Introduzione, TAVOLA II; text: SALTI UN TEMPO VIETATI, Andante, Bellini, Puritani] [BASINTR 02GF]

Vero è che alcuni Armonisti hanno poi distinto quelle seste che negli intervalli frapposti racchiudono il tritono, dalle altre che non lo contengono; applicando soltanto a quelle prime la proibizione: ma oggi nè anche quelle che portano il tritono fanno sgradevole impressione, e prova ne sia il passaggio volgarissimo dell' esempio diciannovesimo.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA II; text: Andantino] [BASINTR 02GF]

Del rimanente anche il Padre Martini afferma che ai suoi giorni [-34-] si usava di già ogni qualità di salti di sesta, e attribuisce la proibizione di questi salti alla difficoltà d' intonazione, che provarono fino ad un dato tempo i cantori; sicchè non considera tale proibizione come assoluta.

E di vero sarebbe stata una ostinatezza singolare persistendo più oltre su cotali precetti, quando il Porpora aveva già reso accetti, con i suoi canti, questi salti spaventosi. Noi troviamo in effetto nella Cantata del Porpora, che comincia: "Di amore il primo dardo," salti di quinta falsa, di quarta maggiore, e di settima minore, come ognuno può osservare negli esempi, ventesimo, ventesimo primo e ventesimo secondo.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA II; text: Affettuoso, il sen che m' ha piagato, Porpora, Cantata, ben mia dolce pena, Allegro, nè men per giuoco v' ingannerò] [BASINTR 02GF]

Troviamo ancora nella Serva Padrona del Pergolese un passo recato nell' esempio ventesimo terzo, ove non solo si opera più volte il salto di settima minore, ma da questa si passa poi in altra settima sulla sensibile.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA II; text: Uberto, Allegro moderato, Son tre cose da morire, Pergolesi, Serva padrona] [BASINTR 02GF]

Or bene, che cosa altro significa questo apparente mutamento nel gusto e nella sensazione degli uditori, se non che anticamente non erano bene percepiti cotesti salti, o, vogliam dire, la tendenza, secondo l' ordine tonale, di quelle note che si succedevano?

Nelle così dette anticipazioni, che furono tra le prime grazie adoperate dai musicisti, la nota dissonante viene talvolta a spiccare più della consonante. Si usarono dapprima in certi riposi cadenzali, come nell' esempio ventesimo quarto.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: ANTICIPAZIONI] [BASINTR 03GF]

Qualche rara volta cotali anticipazioni si adoperarono anche saltando in vece ad una nota che armonizzasse con quella cui riferivasi la anticipazione stessa. E di questo raro caso trovo esempio perfino nei primi padri del recitativo, come scorgesi in un recitativo di Iacopo Peri nell' esempio ventesimo quinto; ove il do +, che potrebbe prolungarsi come anticipazione, salta invece al mi che con esso armonizza nel nuovo accordo. Più chiaro ancora apparirà l' esempio ventesimo sesto di Giulio Caccini.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: di bel fuoco accendi, Peri, Euridice, Noi qui frattanto che sopraggiunga Orfeo, Caccini, Euridice] [BASINTR 03GF]

[-35-] Vennero quindi queste anticipazioni usate ancora senza riposo cadenzale, come in quel passo dell' aria: "Se il Ciel mi divide" nell' Alessandro del Piccini, di che all' esempio ventesimo settimo.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: Allegro agitato, pietoso il martir, Piccinni, Alessandro] [BASINTR 03GF]

Queste grazie di anticipazioni, oggi cadute molto in disuso, s' incontrano fino all' epoca del Cimarosa; come lo dimostra l' aria "Quelle pupille tenere" del Matrimonio segreto. (Vedi esempio ventesimo ottavo.)

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: Allegro maestoso, Cimarosa, Orazj e Curiazj] [BASINTR 03GF]

Ora considereremo il progresso che fecero nella melodia altre specie di dissonanze, cioè quelle chiamate Appoggiature. Queste, sotto un certo aspetto, sono il rovescio delle anticipazioni, imperciocchè occupano tosto il tempo riservato alla nota buona, e precedono nel tempo forte della battuta, contro la regola antica, la nota consonante.

Presso gli antichi Compositori, di pochissimo momento erano le appoggiature; le quali vogliono essere perciò riguardate come un trovato dei Cantanti guidati dal mero istinto melodico. I Compositori le accennavano appena, e le scrivevano con una notina di nessun valore (vedi esempio ventesimo nono). Adoperate furono di poi con valore, ma solo in certi casi speciali, quasi come eccezioni, continuandosi per l' ordinario a segnarle colla notina. Pervennero finalmente queste appoggiature a tanta considerazione, da costituire la parte maggiore, e più seducente delle melodie.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: APPOGGIATURE] [BASINTR 03GF]

E qui mi giova avvertire che cadono in errore coloro che, pensando scrivere più correttamente, accompagnano le appoggiature con accordo proprio: e questo errore emerge dalla falsa opinione avuta fino adesso intorno alle note di passaggio. L' appoggiatura, accompagnata da propria armonia, perde il suo essenziale carattere, il quale dimora appunto nell' essere una nota affine, e, come la chiamerò, attinente di quella su cui risolve, obbedendo ad un forte, e naturale impulso. Nel mio Sistema il fatto delle appoggiature, [-36-] come quello delle note di passaggio eccetera troverà la vera sua spiegazione; e porremo un termine così alla troppo aperta contraddizione di considerare estranee alla armonia quelle note appunto che, in virtù delle affinità armoniche, prestano tanta avvenenza alle melodie.

È noto con quanta dubbiezza le appoggiature, e perfino le note di passaggio più semplici venissero usate anche nel secolo decorso. Il Tevo, nel suo Testore musico, nel 1706, faceva eco alle confutazioni dell' Artusi contro il Monteverde quanto all' uso di certe note di passaggio, le quali adoperavansi dopo una pausa, supponendo, con mirabile percezione per quei tempi, che fosse stata preceduta da una nota consonante che non aveva luogo. Il Tevo così si esprime: "È cosa certissima che il senso non offuscato . . . . . . . rettamente giudica degli oggetti . . . . . . . . , sicchè adunque se il senso dell' udito si sente ferire da una asprezza intollerabile, cioè da una dissonanza, pare forse agli seguaci di questa Scuola (di Monteverde) che possa giudicare che quella sia una consonanza?" Il Monteverde, ed i suoi seguaci avrebbero potuto rispondere che sì, avvertendo che oltre la sensazione havvi la percezione, la quale l' Artusi non conobbe affatto nè presentì.

Il Burney cita come strana e rara appoggiatura per il suo tempo, quella nell' Opera Poro di Handel, rappresentata a Londra nell' anno 1731, come vedesi nell' esempio trentesimo. Ma simile esempio vorrebbe più presto annoverarsi tra i pedali, di cui diremo più avanti.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: Händel, Porro] [BASINTR 03GF]

Le appoggiature acquistarono la debita importanza quando divennero parte esenziale della melodia, e non più servirono di mero ornamento da potersi aggiungere e togliere senza alterazione sensibile della melodia stessa. Ne porge il [-37-] Gluck un esempio di qualche rilievo in un canto che si direbbe scritto dalla Musa del Bellini. Vedi l' esempio trentesimo primo, preso dal Paride, Atto primo, Scena prima. Quel mi + non è un ornamento, ma una nota esenziale della melodia.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: Paride, Moderato, Oh del mio dolce ardor] [BASINTR 03GF]

Trovo ancora un altro esempio (vedi esempio trentesimo secondo) nell' atto quarto della Ifigenia in Tauride del Gluck medesimo, ove l' appoggiatura, comparisce senza preparazione, e di salto. Ma questi esempi peraltro sono da addursi come rarità rispetto al tempo in cui vennero prodotti.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA III; text: Une femme grecque, Allegro, Tremblez! Gluck, Iphigenie en Tauride] [BASINTR 03GF]

Mozart adoprò spesso nelle sue cantilene le note di passaggio; ma nella forma di appoggiature si trovano assai di rado nella parte più rilevante della cantilena; onde questa riesce per l' ordinario di indole consonante. Non pertanto i Cantanti, avvertite le grazie di coteste appoggiature, che i maestri spregiavano da prima, perchè le reputavano licenziose, di loro arbitrio le aggiunsero là dove meglio parve loro che si addattassero.

Che sarebbe il bel canto: "Deh! vieni alla finestra" nel Don Giovanni (esempio trentesimo terzo), ove fosse eseguito senza convertire il primo si + in un do appoggiatura?

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IV; text: Segue _ Appoggiature, Don Giovanni, Allegretto, Deh vieni alla finestra, Mozart] [BASINTR 04GF]

Nella parte strumentale il Mozart, come fecero eziandio altri Maestri anteriori, e suoi coetanei, pose giù la repugnanza per le appoggiature, e le scrisse con note di valore. All' esempio trentesimo quarto apparirà strano, che il canto "Finchè han dal vino" manchi d' appoggiatura, in quello medesimo che la porta l' istrumentazione nel sol notato +.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IV; text: Presto, Finch' han dal vino calda la testa Una gran festa fa preparar, Mozart, Don Giovanni] [BASINTR 04GF]

Da questi esempj non debbesi peraltro dedurre, che tutti gli scrittori di quel tempo fossero ugualmente timidi; imperocchè, siccome ordinariamente occorre, furono di quelli che avanzando il tempo loro, e senza rendersene conto, mostrarono un ardire maggiore nell' uso delle appoggiature; e lo stesso Cimarosa ne offre un esempio nell' istrumentale [-38-] dell' aria di Geronimo nel Matrimonio Segreto (esempio trentesimo quinto).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IV; text: Allegro, Cimarosa, Matrimonio segreto] [BASINTR 04GF]

Queste eccezioni provano al più, come talvolta i compositori, instintivamente ed alla sfuggita, abbiano operato ciò che dipoi lo sviluppo della percezione ha reso comune presso tutti i Musicisti.

L' uso poco frequente delle dissonanze, e specialmente delle appoggiature, dava ai migliori canti antichi, ed ai più popolari un gusto, per noi oggi sazievole assai. Il carattere quasi al tutto consonante della cantilena non induceva nell' orecchio quell' ansietà, che le dissonanze vi operano, ed a cui siamo oggimai assuefatti. Si osservi all' esempio trentesimo sesto, la cantilena "Nel cor più non mi sento" della Molinara del Paisiello.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IV; text: MELODIE CONSONANTI, Andantino, Nel cor più non mi sento Brillar la gioventù Cagion del mio tormento amor sei colpa tu, Paisiello, Molinara] [BASINTR 04GF]

Tutte le note del canto appartengono medesimamente all' armonia che le accompagna. Il Rossini pure creò la maggior parte delle sue melodie d' indole consonante, ed è sufficente ricordare in conferma la famosa aria tanto popolare del Tancredi "Di tanti palpiti" (esempio trentesimo settimo). Vi sono, è vero, in questo pezzo note di passaggio; ma è agevole accorgersi che sono per lo più note di ornamento, tolte le quali non muterebbesi gran fatto la sembianza del canto.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA V; text: Segue _ Melodie consonanti, Moderato, Di tanti palpiti Di tante pene Da te mio bene spero mercè, Rossini, Tancredi] [BASINTR 05GF]

A poco a poco le dissonanze in forma di appoggiature ebbero maggior parte nella melodia. L' appoggiatura ha questo di particolare, che pone in maggior rilievo la dissonanza di quanto faccia la semplice nota di passaggio.

Tra i primi esempj di melodie sostanzialmente dissonanti, vogliam dire di quelle che prendono le loro principali grazie dalle dissonanze, mi si riduce alla mente la popolarissima aria dell' Adele di Lusignano, che il Caraffa scrisse nel 1817, sulle parole "O cara memoria" (esempio trentesimo ottavo). [-39-] Oltre tutte le appoggiature segnate + si noti quella nona fa + presa di salto.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA V; text: MELODIE DISSONANTI, Allegro moderato, O cara memoria degli anni primieri, Carafa, Adele di Lusignano] [BASINTR 05GF]

Il Bellini, forse più di ogni altro compositore, nelle sue insuperabili melodie trasse molta soavità dall' uso delle dissonanze, massime delle appoggiature. Addurremo il bel motivo del Pirata "Per te di vane lacrime" (esempio trentesimo nono).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA V; text: Gualtiero, Allegro moderato, Per te di vane lagrime mi nutro ancor mio bene, Bellini, Pirata] [BASINTR 05GF]

Le appoggiature sono pervenute, in processo di tempo, anche ad occupare il maggior luogo nella melodia; e ne porge un bello esempio la cabaletta del basso, nel finale secondo del Marino Faliero del Donizzetti (esempio quarantesimo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA V; text: Faliero, Moderato, Fosca notte notte orrenda tante colpe, Donizzetti, Marin Faliero] [BASINTR 05GF]

Gli Armonisti, anche tra i più moderni, non contenti di reputare le note di passaggio come estranee alla armonia, sembrano inoltre considerarle nella melodia, non dirò come estranee, ma certo come superflue: imperciocchè si compiacciono di artificialmente eliminarle nelle loro analisi delle melodie, cui pensano così tornare nella loro nuda sostanza!! Ma si può avere idea più falsa della melodia? Che forse la melodia deve essere composta di tutte note consonanti, o vero dissonanti preparate e risolute secondo certi precetti, in guisa che le note di passaggio non possano starvi che come superfluità ed ornamenti? Vero è che nelle antiche melodie poca variazione si opererebbe togliendo le note di passaggio; ma oggimai, per il progresso della melodia, tolte le note di passaggio, e le appoggiature, non che lo scheletro, appena rimarrebbero le rovine del canto. Se togliete via le appoggiature dalla melodia "Col sorriso d' innocenza" del Pirata (esempio quarantesimo primo), questa si ridurrebbe come all' esempio quarantesimo secondo. Sarebbe veramente da compiangersi colui che avesse così poco orecchio melodico da non discernere queste due cantilene come essenzialmente diverse.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA V; text: Imogene, Andante sostenuto, Col sorriso d' innocenza, Bellini, Pirata] [BASINTR 05GF]

[-40-] Il progresso della percezione è attestato ancora dalla invenzione del pedale. Gli Armonisti non si accorsero che il pedale, checchè si facciano per annoverarlo tra le licenze, non di meno, e per l' uso costante di tanti anni, e per il buon effetto che produce, contradice alla opinione loro, e alla teoria imperfetta a cui lo si vorrebbe vincolare. Il pedale, in quel modo medesimo che le note di passaggio, ebbe timido incominciamento; ma dipoi prese nella musica posto non inferiore a quello degli altri fatti musicali. È adunque naturale che anticamente, attesa la debolezza della percezione, gli accordi di passaggio, che si seguitano nei pedali, ferissero il senso più agramente che non facessero appresso. E di ciò fa testimonio il Palestrina, il quale, nel Madrigale "Alle rive del Tebro," adoperò cotali passaggi in modo arditissimo per quei tempi, affine di esprimere le parole acerba e rea (esempio quarantesimo terzo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VI; text: PEDALI, mia acerba e rea ma dir non può, Palestrina, Madrigale] [BASINTR 06GF]

Allora quando incominciò a propagarsi la moderna tonalità, il pedale si produceva più specialmente facendo passare l' accordo della dominante con la settima minore, sopra la tonica tenuta. Questo passaggio fortifica l' unione tonale, perchè costringe imperiosamente a risolvere sull' accordo della tonica, onde è che venne adoperato fino quasi ai giorni nostri. Il Gasparini (nell' Armonico pratico) reca un passo di recitativo, ove ha luogo il suddetto passaggio (esempio quarantesimo quarto).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VI; text: Gasparini, Armonico pratico] [BASINTR 06GF]

Anche nelle Arie venne egualmente usato, per vaghezza, il pedale medesimo, accompagnando alcune delle più soavi melodie. La maggiore finezza della percezione permise di poi che varie qualità di accordi passassero non soltanto sulla tonica, ma ancora sulla dominante; ed il pedale si fece nella parte media, e perfino nell' acuta. E come ciò non fosse ancor bastante alla capacità percettiva, il pedale, non che di una nota, risultò eziandio di due, e di più; tanto che talora parvero fra sè discrepanti la melodia con l' armonia d' accompagnamento, [-41-] rispetto alla tonalità; come nell' esempio quarantesimo quinto, tratto dalla Sinfonia pastorale di Beethoven, censurato dal Fetis, il quale non dubitò di proporne la correzione.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VI; text: Allegro, pedale, crescendo, Beethoven, Sinfonia pastorale] [BASINTR 06GF]

Le dissonanze non solamente vennero talvolta adoperate senza preparazione, ma, circa alla risoluzione loro, furono abbandonate le antiche regole, che insegnavano dover esse risolvere scendendo immediatamente alla nota vicina. Cotesta risoluzione delle dissonanze si operò in varj modi, cioè da una altra parte, come sarebbe a dire dal basso in cambio che dal tenore: ed anche si effettuò dopo molte note, come nella fuga del Bach (esempio quarantesimo sesto), ove quel + sembra risolvere sulla nota la diesis + dopo sei note; e più chiaramente nell' andante del quartetto in re maggiore Opera 33 di Haydn (esempio quarantesimo settimo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VI; text: Bach, Fuga, Andante, Haydn, Quartetto in re maggiore opera 33] [BASINTR 06GF]

Talvolta la risoluzione è appena percettibile per cagione del ritmo fuggevole, come in quel passo di Mozart (esempio quarantesimo ottavo) tratto dal primo tempo del quartetto in re minore; ove il do diesis + apparisce risolvere dopo una nota su quel re +, che fugge passando colla quartina di semicrome.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VI; text: Allegro moderato, Mozart, Quartetto in re minore] [BASINTR 06GF]

Noterò ancora, in conferma del progresso della percezione, circa al comportare meglio le dissonanze, che queste, oltre che poi mostraronsi senza preparazione e di colpo, acquistarono maggior durata, o furono ripetute molte volte a piccoli intervalli, senza punto offendere l' udito, anzi con suo diletto. E non tanto le dissonanze meno aspre, come la settima minore, la quale in tal guisa dal Pergolese ancora, come sopra vedemmo, venne usata; quanto quelle dissonanze che in addietro volevano essere rigorosamente preparate, e poco si tolleravano, come sono le none maggiori, e le minori.

Il Padre Martini, (nella Storia della musica) esclamava: "Ma guai se la dissonanza prodotta, in breve non giunga alla risoluzione; la dolcezza dell' armonia ove anderebbe!". [-42-] Non ostante, oggi alcune grazie si tolgono anche dalla prolungazione delle dissonanze. Osserva nella Tirolese delle Serate musicali del Rossini (esempio quarantesimo nono) quella nona sol + come è ripetuta, e prolungata con proposito di farne la nota principale della melodia.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VI; text: DISSONANZE POSTE IN MAGGIOR RILIEVO. Allegro, Rossini, Serate musicali] [BASINTR 06GF]

Anche Auber acquistò delle grazie colla prolungazione delle dissonanze, o colle loro frequenti ripetizioni, come nell' esempio cinquantesimo, estratto dal Lago delle Fate.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VII; text: Segue _ Dissonanze in maggior rilievo, Allegro, Auber, Lago delle Fate] [BASINTR 07GF]

Ed il Donizetti si giovò di simile ripetizione, con molta leggiadría, nella bella Cabaletta del Roberto Devereux, di cui reco la prima frase (esempio cinquantesimo primo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VII; text: Allegro moderato, Ah ritorna qual ti spero qual ne' giorni più felici, Donizetti, Roberto Devereux] [BASINTR 07GF]

La nota dissonante fù posta spesso in rilievo prolungandola o ripetendola, come dimostrammo; ma può anco spiccare, con bell' effetto, per opera del ritmo, il quale, giovandosi dell' accento musicale, raccoglie sopra di una nota o di un passo maggiormente l' attenzione dell' uditore. Il che fece Auber nella introduzione del Cavallo di Bronzo (esempio cinquantesimo secondo). Quanta grazia in quel sol +! Cotali grazie, mediante le dissonanze, seppe sovente conseguire Auber, a cui però non fu resa, mi penso, la debita giustizia.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VII; text: Allegro, Auber, Cavallo di Bronzo] [BASINTR 07GF]

Colla nuova tonalità il senso, o meglio, la percezione aveva acquistato tal dignità, che non potevasi più oltre negare dai Teorici; e la scoperta del temperamento, e la sua applicazione potè dare l' estremo colpo al vacillante Sistema dei numeri armonici. Cominciò ad accorgersene il Bontempi, che, nella sua Storia della Musica, nel 1692, dice: "Da questo nuovo sistema (del temperamento) si comprende quanto grandi sieno nella musica armonica le forze, e le potenze dello stesso senso, operando in compagnia della ragione."

In questo periodo, cambiata la tonalità, l' accordo perfetto di prima, terza, quinta, acquistò una efficacia molto maggiore che non avesse durante la influenza della tonalità antica, allorchè [-43-] le cadenze erano meno importanti. Il Rameau fu il primo, che isolò questo accordo, ne fece un ente, e lo stipite di tutti gli altri. Giusta il suo sistema, gli accordi tutti resultano dalle aggiunte di terze maggiori o vero minori, fatte sotto o sopra all' accordo perfetto. È chiaro che, secondo questo concetto, gli accordi diversi non presentano verun legame di successione tra loro. Le regole del basso fondamentale, per mezzo del quale volle il Rameau rimediare a questo difetto, riescirono del tutto arbitrarie, e non poggiarono sopra ad alcun principio stabile, ed universale. Il vero merito del Rameau, secondo il giudizio del Fetis, consiste principalmente nella scoperta del rovescio degli accordi.

Ma era tempo che una voce autorevole sorgesse contro l' abuso dei calcoli numerici nella musica. Il D' Alembert, nel suo Discorso preliminare agli Elementi di musica, dice: "nella mia qualità di Geometra, mi avviso di avere qualche diritto di protestare contro il ridicolo abuso della Geometria nella musica. Ed io lo posso con tanta più ragione, in quanto che in cotale materia i calcoli sono ipotetici, e non possono essere altro che ipotetici . . . . imperocchè la esperienza non può fornirci altro che delle approssimazioni al vero."

Il sistema del Rameau per la sua semplicità, e per il suo apparente ordine logico, ebbe moltissimi aderenti durante un lungo corso di anni. Non tutti però lo accettarono completamente. Il Marpurg, tra questi, lo modificò in guisa che l' aggiunta delle terze si operasse sempre sopra l' accordo perfetto. Ma i difetti del sistema del Rameau, di mano in mano che la musica progrediva, apparivano più manifesti. Sorge rigettò la comune origine di tutti gli accordi, e pose, per il primo, l' accordo dissonante, come indipendente dall' accordo [-44-] consonante. Kirnberger vide la analogia di molti accordi mediante il principio della prolungazione. Altri studiarono le alterazioni degli accordi, affine di indagare nuove analogie. Il Fetis pensò di avere trovato finalmente altra fonte di analogie, mediante il principio della Sostituzione. Cotale principio si trova in vero già indicato nella Musica ragionata del Testori; ma il Fetis, molto ingegnosamente, lo applicò all' analisi di vari accordi. Il principale merito del Fetis, non pertanto, stà, a parer mio, in quella luminosa idea, che con tanta costanza ha per molti anni propugnata, di cercare cioè i fondamenti della musica nella musica stessa, nella tonalità.

Ripeterò ciò che dice il Fetis di se medesimo nella sua Biografia Universale. "Le sue ricerche sulla teoria della armonia lo misero sul sentiero, mostrandogli che la tonalità è la sola base di questa combinazione di suoni, e che le leggi di questa tonalità applicate all' armonia sono al tutto identiche a quelle che governano la melodia, e per conseguenza, che nella moderna tonalità questi due rami principali dell' arte sono inseparabili. Considerazione nuova, la cui realità è dimostrata dalla istoria della musica, e che egli ha dipoi resa evidente nei suoi scritti." Questo elogio che fà a sè stesso è giusto. Il Fetis avrà sempre la gloria di avere dato diligentissima opera, a dimostrare ove si debbano veramente investigare i principj di una solida teoria dell' armonia. E questa gloria non gli viene punto menomata, benchè egli, come mi penso, non abbia abbracciato completamente il principio della tonalità.

La tonalità moderna è fatta nascere dal Fetis dalla scoperta del Monteverde intorno all' uso, senza preparazione, dell' accordo di settima sulla dominante; accordo che, per la sua affinità verso quello perfetto, stabilisce con cadenza autentica la tonalità stessa.

[-45-] Questi due accordi adunque egli reputò essere i soli naturali nella armonia, e tutti gli altri, per conseguenza, nulla più che modificazioni dei medesimi. Considerò inoltre che le note che compongono la scala diatonica hanno ognuna un carattere speciale, cioè o di riposo, o di moto, o di una cotale affinità appellativa; onde gli parve che necessariamente chiedessero una speciale armonia che a questo carattere si accomodasse, cioè o l' accordo consonante perfetto, o il dissonante naturale semplice, o modificato.

Il Fetis, come avvertimmo, non comprese la tonalità nel suo aspetto più generale. Egli non dette peso che alla cadenza autentica, la quale riguardò come fondamento della tonalità. Trascurò quindi le note dette di passaggio, e i pedali stimandoli licenze, e note estranee all' armonia; ponendo così fuori della legge alcuni degli elementi i più importanti alla produzione dell' arte musicale. Egli considerò inoltre gli accordi, come a dire, tutti di un pezzo; laonde gli sfuggirono tutte quelle affinità che appartengono singolarmente alle varie note, che costituiscono l' accordo. Questa analisi incompleta lo condusse, affine di non demolire il proprio sistema, a immaginare cosa stranissima, cioè la sospensione del sentimento della tonalità, allorquando si operano certe progressioni, come all' esempio cinquantesimo terzo, nelle quali ogni nota della scala diatonica riceve l' accordo di terza e quinta.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VII; text: SIMETRIA FALSA E VERA NELLE PROGRESSIONI, Fetis, Trattato d' Armonia] [BASINTR 07GF]

Il che repugnerebbe alla teoria sua, che assegna ad ogni nota della scala diatonica un accordo acconcio al suo carattere. Suppone il Fetis, che in tale caso, lo spirito, occupato della simetria della progressione, non s' accorga dell' offesa che patisce il principio della tonalità. A me sembra, per contrario, che non solo il sentimento della tonalità non si trova sospeso (il che anco non saprei concepire senza che si distruggesse la musica); ma anzi è tanto vivo e gagliardo nell' arrecato esempio, da produrre in noi l' illusione d' una simetria, che effettivamente non sussiste. [-46-] La vera simetria sarebbe come nell' esempio cinquantesimo quarto.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VII] [BASINTR 07GF]

Ma in questo mode s' uscirebbe del tono, adoperandosi delle note che non si trovano nella scala diatonica. Volendo adunque obbedire al sentimento della tonalità, è giuoco forza contentarsi di una simetria imperfetta; il che interviene nell' esempio cinquantesimo terzo giudicato dal Fetis in un modo inesatto.

Non ostante la strettezza del cerchio in cui s' aggira il Fetis col suo sistema; questo vuol essere considerato come rispondente al progresso della percezione nella maggior parte di questo secondo periodo, e quindi è utile a studiarsi per i materiali che porge a stabilire altro sistema meglio adattato al periodo successivo.

IV

TERZO PERIODO.

Predominio della percezione.

In questo terzo periodo la dissonanza più sovente venne usata senza preparazione, e, ciò che è più mirabile, alcune volte perfino senza risoluzione. Dicendo senza risoluzione intendo quella materiale, e sensibile; imperocchè la risoluzione esiste nella nostra fantasia, ove, mediante la percezione, si risveglia quel suono in cui si acqueterebbe materialmente la dissonanza. Questo fatto meraviglioso, a cui non venne dai Teorici posto mente, io raccomando al Lettore di bene studiare, imperciocchè apre una nuova ed ampia via al Compositore.

La dissonanza senza risoluzione effettiva non è possibile che allorquando la percezione abbia acquistato una efficacia grandissima, e tale da assumere una certa maggioranza sulla sensazione.

[-47-] Un primo grado di questa maggioranza s' incontra nelle transizioni enearmoniche, le quali non si possono intendere, che per la facoltà che ha la percezione di farci apparire identici due suoni diversi, ma vicinissimi fra loro; e per contro di mostrare alla nostra coscienza come due differenti suoni prossimi, un solo e identico suono.

Se si tocchi un si bemolle del pianoforte, che è l' identico tasto la diesis, dinanzi ad un uditore, il quale abbia percepito il tono di fa; e poi ad altro uditore che abbia in mente il tono di si naturale; accadrà che i due uditori sentiranno, o meglio percepiranno diversamente la stessa nota; chè all' uno sembrerà più grave come tendente al la; ed all' altro più acuto come tendente al si naturale; tanto che se si invertisse la risoluzione che hanno nell' animo percepita, parrebbe loro di provare una sensazione un poco aspra. Ma dopo abituati alla nuova risoluzione, rimarrebbero alquanto duramente impressionati, ove si ripetesse loro la prima delle risoluzioni desiderate.

Ognuno comprende agevolmente, che questa proprietà della percezione, per la quale due note vicinissime si confondono in una, ed una sola nota può fare ufficio di quelle due ad essa più prossime, ha reso possibile il così detto temperamento degli istrumenti; ed infatti oggimai la percezione non si regola più che su questo temperamento, per cui i diesis possono convertirsi in bemolli, e viceversa.

L' epoca nostra fu bene caratterizzata dal Fetis col nome di omnitonica, imperocchè, col sussidio dell' enearmonia, si può passare ormai in ogni tono. Questa enearmonia non sarebbe però possibile senza il temperamento, se non sempre in atto, per lo meno in potenza nella percezione nostra. Ed a me pare che Vincenzo Galilei (nel Dialogo della musica antica, e moderna) non si dilungasse troppo dal vero, [-48-] ed in qualche punto anzi squarciasse il velo dell' avvenire, sostenendo che quella specie di armonia, la quale usavasi al suo tempo, non era la naturale, o la sintona diatonica di Tolomeo, ma quella che si usa negli istrumenti artificiali temperati.

Dicemmo innanzi, che il Fetis chiamò l' epoca nostra musicale, omnitonica; e ciò fece con ragione, ove si consideri il progresso della musica da un sol lato, e non completamente. Ma questo progresso si annunzia in altri modi ancora, che non in quello solo del facile passaggio in tutti i toni, come vedremo; per la qual cosa io non ho adottato la distinzione del Fetis, ed ho proposto quella, a mio avviso, più vera, che muove dal grado di efficacia della percezione a rispetto della sensazione.

Un caso meraviglioso che ci somministra la percezione non frenata dalla sensazione, si è quello del grande musicista Beethoven.

Questo illustre ingegno, perduto il senso dell' udito, si abbandonò siffattamente alla percezione musicale, che, massimamente in alcune composizioni della sua seconda e terza maniera, scrisse musica sublime sì dinanzi all' intelletto, ma che in alcuni punti esige una cotale abnegazione per parte del senso, che difficilmente nello stato presente della educazione musicale si può incontrare in chi abbia la facoltà dell' udire. Un giorno forse queste apparenti stonazioni Beethoveniane non saranno più tali in effetto; la così detta Chimera, come la chiamarono il Lentz e l' Oulibicheff, cesserà forse in processo di tempo di spaventare gli orecchi delicati.

Notabilissime sono nella Sinfonia in do minore di Beethoven quelle battute che conducono all' Allegro in do maggiore [-49-] (vedi esempio cinquantesimo quinto).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VII; text: OPPOSIZIONE TRA LA MELODIA E L' ACCOMPAGNAMENTO, Allegro, F, crescendo, Beethoven, Sinfonia in DO minore] [BASINTR 07GF]

L' Oulibicheff, nel suo libro Beethoven, i suoi critici eccetera, a proposito di questo passo scrive, un poco sdegnosamente, che il Compositore ivi ha sospeso l' habeas corpus della musica. Ma queste battute, ove l' Oulibicheff non trova nulla che rassomigli alla melodia, all' armonia, al ritmo, sono, a senso mio, melodiose, e piene di efficacia per quella ansietà che si genera allorquando la percezione opera più della sensazione, e tiene sospeso l' animo dell' uditore.

È stato detto che cotale musica non appartiene all' arte; a me pare per certo, che essa appartenga ad un' arte più avanzata che oggi ancora per avventura non sia la musica.

Beethoven rispondeva ai suoi critici severi: "Sì, eglino si meravigliano, e non comprendono nulla, perchè non hanno trovato ciò in un libro di basso numerato."

Il progresso della percezione è di già pervenuto al segno di renderci grate una gran parte di quelle musicali combinazioni, che reputate erano disarmoniche, ed eziandio come tali erano sentite dai nostri predecessori. Ed alcuni Compositori, precorrendo il tempo loro, hanno già adoperato contemporaneamente melodia ed accompagnamento, che, giudicati dal solo senso, sembrano contradirsi. Ma ciò potè farsi perchè la melodia non fu solamente sentita per sè stessa, ma eziandio percepita per certe sue tendenze, in virtù delle quali si trovò in concordia coll' accompagnamento.

Questi fatti serbano qualche analogia col pedale, imperciocchè, come in questo, vi si scorgono unite delle parti fra loro in apparenza armonicamente repugnanti, e che sarebbero così effettivamente, se la percezione, prendendo maggioranza sulla sensazione, non venisse a conciliarle.

Beethoven ce ne porge l' esempio cinquantesimo sesto nella Sinfonia [-50-] Eroica, ove l' entrata del corno parrebbe chiedere per accompagnamento l' accordo della tonica, laddove porta quello della dominante.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: Segue _ Opposizione tra la melodia e l' accompagnamento, Allegro, Violini, Beethoven, Sinfonia eroica] [BASINTR 08GF]

Berlioz (negli Studi sopra Beethoven) dice, che è difficile trovare una giustificazione seria a questo capriccio musicale. Non pertanto Beethoven, parve non pensarla così; ed in effetto, alla prima prova di questa Sinfonia, Ries, credendo che il corno fosse entrato per errore due battute prima, aveva fatto fermare l' orchestra; ma Beethoven, tutto in collera, lo rimproverò, affermando, con stupore dei presenti, che così stava bene, e non altrimenti.

Anche il Rossini, nello strumentale della Congiura del Guglielmo Tell (esempio cinquantesimo settimo), unì alla melodia un accompagnamento che, secondo le regole, suonerebbe contrario.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: Andantino, Corno, Rossini, Guglielmo Tell] [BASINTR 08GF]

Il medesimo occorre nel seguente passo della Sinfonia della suddetta Opera (esempio cinquantesimo ottavo); e nella Marcia dell' atto terzo dell' Opera medesima (esempio cinquantesimo nono).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: Corno inglese, Andante, Rossini, Guglielmo Tell, Allegro] [BASINTR 08GF]

Auber ci presenta altro simile curioso passo nel primo finale del Cavallo di Bronzo, come all' esempio sessantesimo. E Meyerbeer nella Danza Boema, nel terzo atto degli Ugonotti (esempio sessantesimo primo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: Allegro, Auber, Cavallo di Bronzo, Meyerbeer, Ugonotti] [BASINTR 08GF]

Di recente cotale apparente contradizione armonica fu adoperata con molta leggiadría da Giovanni Strauss nel Valzer Mirthen-kränze (esempio sessantesimo secondo). Nell' esempio sessantesimo terzo, dello stesso Strauss, nel Valzer Schall-Wellen, l' accordo mi sol mi, che signoreggia nella battuta, parrebbe richiedere l' accordo del do tonica, e non pertanto si associa a quello della dominante.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: Strauss, Valzer] [BASINTR 08GF]

Oltrechè la melodia si trovò associata, con soddisfazione dell' orecchio, ad accompagnamenti armonici, ai quali, secondo i precetti de' Teorici, avrebbe dovuto repugnare; avvenne che le dissonanze, di cui la melodia tanto si è giovata, non pure senza preparazione, come vedemmo, ma [-51-] senza resoluzione altresì adoperate furono, con molto profitto, e bella novità, del canto.

Il primo germe delle dissonanze non risolute esiste in vero nelle così dette note di passaggio, allorquando si seguitano due o più dissonanze sciolte. Questa successione era dagli antichi reputata licenziosa; ma non di meno, a lungo andare, se ne tollerò l' uso in certi casi, massime quando procedevano per grado. Immaginarono i Teorici, per rendere un' ombra di ragione di queste licenze, di chiamare in certi casi note cambiate queste note di passaggio; come se una delle note cattive avesse cambiato il suo posto con una nota buona. Il Padre Martini (nella Storia della Musica), colla autorità degli antichi, dichiara queste note cambiate da tollerarsi soltanto in certe angustie della composizione, e le vorrebbe ancora raramente lecite: "se colla frequente loro asprezza (egli soggiunge amaramente) non vogliasi turbata affatto, e quindi distrutta ogni soavità dell' armonia." Ma checchè affermassero i Teorici, i Compositori ne fecero uso vieppiù frequente, e non tanto per grado quanto ancor per salto, senza distruggere, anzi talora accrescendo la soavità del canto.

I contrappuntisti, anco i più eccellenti, non indietreggiarono dinanzi alle successioni dissonanti, e talvolta incontriamo delle assai aspre combinazioni. Maggior coraggio addimostrarono laddove le note si succedevano per gradi, e nelle varie parti in senso contrario. In simili casi non si percepiscono le singole combinazioni isolatamente; ma la serie intera appartenente all' accordo che domina durante tutti cotesti passaggi, conforme ad una nuova dottrina che accennerò più tardi. Nell' esempio sessantesimo quarto riporto un passo del larghetto nel quartetto in si bemolle di Mozart. Quivi si osservi quei successivi aspri incontri segnati +; i quali non offendono l' udito, quando si percepisca la serie dell' accordo della dominante nel tono di mi bemolle.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: SUCCESSIONI DISSONANTI, Violini, Viola e Violoncello, Larghetto, Mozart, Quartetto in SI bemolle] [BASINTR 08GF]

[-52-] Sebbene gli antichi provassero orrore per le dissonanze di seguito, e massimamente per quelle che succedonsi di salto, non di meno alla sfuggita, senza importanza, e quasi di nascosto, qualche rara volta nelle loro composizioni si incontrano; e vedasi in conferma l' esempio sessantesimo quinto, che è un passo del Benedictus nella Messa Beata Vergine del Palestrina, ove il mi + ed il sol +, che dissonano sul fa +, saltano di terza. Non pertanto lo Zarlino (nelle Istituzioni) afferma, che quando la dissonanza procede di salto, si fa tanto manifesta, che appena si può tollerare.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: DISSONANZE PROCEDENTI PER SALTO, Palestrina, Messa] [BASINTR 08GF]

Queste dissonanze di passaggio, che si seguitano per salto, vennero parimente appellate da alcuni note cambiate. Ed il Fux (nella Salita al Parnaso), considerando l' esempio sessantesimo sesto, asserisce che esso rappresenta il passo dell' esempio sessantesimo settimo; laonde il si + sarebbe sottinteso.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA VIII; text: Fux] [BASINTR 08GF]

Oggi molte grazie ed avvenenze si ricavano da simili salti delle dissonanze, per i quali non ha effetto realmente la risoluzione; attesochè la nota che segue, quantunque sia consonante, non è però vera risoluzione. A cotesta specie di dissonanze non risolute, io applicai il nome di supplenti; imperocchè esse suppliscono alla consonanza, la quale non s' ode, ma viene, in virtù della percezione, così fortemente richiamata nella nostra immaginazione, da operare nell' animo nostro come se effettivamente colpito avesse prima il nostro orecchio.

E poichè niuna cosa sorge ad un tratto, e per incanto, ma viene preparata di lunga mano, e a poco a poco; perciò potremo noi vedere i segni, e quasi i germi di questa nuova forma armonica e melodica, nelle composizioni di alcuni autori recenti, i quali, senza rendersene ragione, manifestarono nelle opere loro questo progresso della percezione.

[-53-] Questi segni si faranno tanto più frequenti e chiari, quanto più ci avvicineremo al tempo presente. Non essendo mio assunto principale quello di stendere la istoria delle supplenti, mi restringerò a riferirne alcuni esempj di varj autori, e finalmente ne recherò altri da me a bella posta composti, per meglio farne intendere l' importanza.

Nell' aria del Soprano nell' atto terzo del Guglielmo Tell del Rossini si trova il passo dell' esempio sessantesimo ottavo.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: Segue _ Dissonanze procedenti per salto, Matilde, Moderato, Ah se cara a te son' io Arnoldo amato non più tardar, Rossini, Guglielmo Tell] [BASINTR 09GF]

Quei fa + potrebbero per avventura venire da alcuni scambiati con quelle anticipazioni armoniche di cui recammo due esempj dei creatori del recitativo. Se non che alla percezione si presentano diversamente, cioè non come anticipazioni, ma in vece, per la importanza che ricevono dal ritmo, come supplenti; laonde il mi che precede i suddetti fa + piglia sembianza di loro appoggiatura. Che non possano essere anticipazioni, diviene poi manifesto considerando, che il secondo fa + non opererebbe consonanza nell' accordo successivo; per la qual cosa non anticipa nulla.

Quei musicisti, che han creduto spiegare questi fenomeni musicali, considerandoli come elissi, non fecero che un giuoco di parole; imperocchè resta a domandarsi in che modo, e mediante quale facoltà, noi giudichiamo aver effetto l' elisse. Senza che, l' elisse coinciderà col principio della supplenza, quando si tratti di una sola nota omessa; ma laddove è presupposto una omissione di più note, come nel primo fa del suddetto esempio, dove si tratterebbe di tre note, allora si allontana dal principio della supplenza, e manca di qualsiasi fondamento di verità. Il Rossini non operò a caso cotesti passi; e lo si prova osservando quella battuta dell' aria stessa, che riporto nell' (esempio sessantesimo nono): nella quale è chiaro l' effetto grazioso ricercato con quel re diesis + dissonanza che salta sulla nota successiva.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: o mi farai dal duol morir, Rossini, Guglielmo Tell] [BASINTR 09GF]

[-54-] La dissonanza sciolta può saltare non solamente sulla consonanza, ma altresì sopra altra dissonanza, il che era una volta ancora più proibito. Ma se ne trassero poi dei begli effetti melodici, tra i quali addurremo la prima frasetta del duetto dell' ultimo atto nel Poliuto del Donizetti (esempio settantesimo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: Larghetto, un fulgido lume sul ciglio mi striscia, Donizetti, Poliuto] [BASINTR 09GF]

Meyerbeer pose anche in maggiore rilievo un salto simile, separandolo, come si vede nell' esempio settantesimo primo, con una pausa, nella Cabaletta di Isabella nel secondo atto del Roberto il Diavolo.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: Allegretto, Idole de ma vie ah! viens, Meyerbeer, Roberto il diavolo] [BASINTR 09GF]

Gli Armonisti moderni veduto il buono e molto uso che si fece di cotali salti, si sono alquanto rassegnati, benchè non sapessro altrimenti considerarli che come licenze.

Le appoggiature, che vedemmo adoperate nel periodo precedente, rassomigliavano in tanto alle comuni dissonanze dei Teorici, in quanto che si risolvevano sulla nota vicina. Ma in questo periodo troveremo esempj di appoggiature di salto, cioè che passano ad altra nota lontana, la quale ora è consonante, e ora anche dissonante. Questi salti, ancorchè si effettuino sopra una nota buona, cioè appartenente all' accordo, non possono risguardarsi che come risoluzioni false. Dimostreremo appresso, con esempi, che da queste false risoluzioni si ottennero, come dalle semplici appoggiature, moltissime grazie ed effetti melodici ricercati assai dal Compositore, e gustati dal pubblico.

Gli antichi fuggivano a tutto potere queste risoluzioni per salto delle dissonanze; e quando nelle loro composizioni le troviamo, ci dicono i Teorici, che cotali licenze sono le stesse che quelle delle note di passaggio, le quali in tal caso assumono il nome di note cambiate. Allorquando per altro non si trattava propriamente di note cambiate, ma di vera e propria dissonanza legata, la quale saltasse sulla consonanza, [-55-] gli antichi erano anco più rigorosi, e cel dimostra il Tevo (nel suo Testore), ove, parlando del passaggio dalla settima alla terza, riporta l' esempio settantesimo secondo, ed aggiunge: "che questo salto sarà solo sopportato per qualche urgente necessità;" ed il medesimo dice di altri salti.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: FALSE RISOLUZIONI, Tevo, Testore] [BASINTR 09GF]

Non sarà discaro forse l' udire in che modo qualche musicista moderno accogliesse siffatte novità musicali. L' Oulibicheff, nel già citato suo libro, riandando le Sinfonie di Beethoven, incontrò il passo riportato all' esempio settantesimo terzo:

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: Allegro vivace, Oboi, Clarinetti, Fagotti, Beethoven, Sinfonia quarta, Violini, FF] [BASINTR 09GF]

ed ecco il suo giudizio intorno a quel si +, dissonanza in forma di prolungata appoggiatura, che non risolve: "Noi possiamo ammettere (egli dice) che fra tutte la necessità armoniche la più imperiosamente richiesta dall' orecchio, una regola seguíta da tutti coloro che compongono, cantano o suonano un istrumento, che sappiano, o no la musica; una generale osservanza ed invariabile, perchè istintiva, è la risoluzione d' una appoggiatura posta non importa dove o su che." L' Oulibicheff trattò il Beethoven, come l' Artusi fece al Monteverde.

In questi salti la nota dissonante, come testè dicevamo, supplisce realmente alla nota in cui dovrebbe risolvere, e vi supplisce in forza della percezione, che viene esercitata verso quella nota buona, la quale, comecchè non suoni effettivamente e non percuota il nostro orecchio, pure in quel momento si presenta alla fantasia. Per questo fatto non ancora esaminato convenientemente nè dai Filosofi, nè dai Teorici musicisti, la musica ha acquistato una nuova via.

Acciocchè non rimanga nell' animo dubbio veruno circa alla natura della risoluzione che nasce nel fatto delle supplenti, si ripetino quelle melodie, ove han parte le dette supplenti, anco senza l' accompagnamento, e si conoscerà chiaramente, che non ne resulta veruna asprezza; [-56-] anzi vien suggerito nella fantasia quell' accompagnamento naturale che vi andrebbe unito; il perchè è manifesto, che non è il basso quello che risolve effettivamente la dissonanza, ma questa è risoluta mediante la percezione nella nostra fantasia. Queste supplenti, come le appoggiature semplici, furono da prima preparate, e poi si usarono senza preparazione. Delle une e delle altre toccheremo brevemente.

Le prime supplenti apparirono nella composizione colla sembianza per lo più di appoggiature, e facenti un ufficio simile nella melodia, tanto che vennero da prima segnate parimente colla notina. Il che si osserva nell' esempio settantesimo quarto, tratto dall' aria "Ah! cara immagine" nel Flauto magico di Mozart.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA IX; text: Larghetto, ma nò l' usato amor non è, Mozart, Flauto magico] [BASINTR 09GF]

Mozart adoperò per altro ben di rado questa sorta di dissonanze, nè ciò dee fare meraviglia, ove si consideri che fu anche assai parco nel dare importanza alle appoggiature. Recherò non pertanto anche l' esempio settantesimo quinto, tolto da una sonata in do per Pianoforte solo.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA X; text: Segue _ Supplenti preparate, Allegro moderato, Mozart, Sonata per Pianoforte] [BASINTR 10GF]

Il mi segnato + supplisce al re. Si osservi in che modo Mozart, mosso dallo scrupolo di offendere l' udito, abbia posto nella parte dell' accompagnamento, sotto la suddetta nota mi +, una pausa di un ottavo.

Il Sacchini fu più ardito, come si osserva nel Duo dell' atto secondo nella Olimpia (esempio settantesimo sesto); ove il mi + cade nel sol, mentre nel basso suona il re +.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA X; text: Andante, Je lui dois la lumiere et n'ai pu la benir, Sacchini, Olimpia] [BASINTR 10GF]

Lo Spontini eziandio adoperò queste supplenti nella Vestale, Atto secondo, aria di Licinio (esempio settantesimo settimo). Quel mi + notina salta al fa, ma poi sembra torni addietro per risolvere nel re +.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA X; text: Affettuoso animato, Les Dieux prendront pitie du sort qui nous accable, Spontini, Vestale] [BASINTR 10GF]

Nel Trio del secondo atto dell' Opera medesima si vede, cosa curiosa, le disonanze senza risoluzione nella parte del canto, e risolute in quella del Flauto (esempio settantesimo ottavo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA X; text: Flauti, Allegro, a ses maux etrangere mon ame est toute entiere, Spontini, Vestale] [BASINTR 10GF]

Lo effetto delle supplenti cominciò ad essere ricercato con assai più favore verso il tempo del Rossini.

[-57-] Nell' esempio settantesimo nono, che appartiene all' Introduzione del primo atto nei Baccanali del Generali, si scorge leggermente come il maestro abbia voluto trarre un certo effetto da quel fa + supplente del mi sottinteso.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA X; text: Larghetto, Pel sublime sentier degli eroi, Generali, Baccanali] [BASINTR 10GF]

Anche il Rossini, sebbene non di frequente, ha adoperato per vaghezza le supplenti in modo non dissimile. Nel Tancredi, cavatina di Amenaide (esempio ottantesimo), benchè la supplente non batta coll' accompagnamento, pure tosto ci accorgiamo che il mi + sta in cambio del re.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XI; text: Segue _ Supplenti preparate, Maestoso, Come dolce all' alma mia, Rossini, Tancredi] [BASINTR 11GF]

Altri esempi ne porge il Rossini, ove non ommise l' accompagnamento, come nel duetto primo del secondo atto nella Semiramide (esempio ottantesimo primo); e nell' istrumentale del primo atto della Donna del Lago, nell' aria di Malcolm (esempio ottantesimo secondo).

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XI; text: Andantino, Assur, Quella ricordati notte di morte, Rossini, Semiramide, tornami a dir io, Donna del Lago] [BASINTR 11GF]

Dei luoghi simili addurre potremmo moltissimi, i quali talvolta conferiscono al canto un non so che di pomposo, che rispondeva assai al gusto dei predecessori del Donizetti, e del Bellini.

Il Bellini non trascurò l' effetto di questa sorte di supplenti, dando loro quell' espressione melanconica, che è il principale carattere della sua musica. Ci fornisce l' esempio ottantesimo terzo, il terzetto del Pirata; e parimente l' esempio ottantesimo quarto, l' aria "Qui la voce" dei Puritani.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XI; text: Allegro moderato, Gualtiero, Vieni cerchiam pe' mari al nostro duol con-, Bellini, Pirata, Elvira, Andante, O rendetemi la speme o lasciatemi morir, Puritani] [BASINTR 11GF]

Benchè il Donizetti, per l' indole della sua musica non così patetica ed affettuosa, meno spesso ricercasse cotali effetti delle supplenti, pur nondimeno, portato maggiormente all' espressione energica delle passioni dell' animo, se ne giovò talvolta; e singolarmente l' esempio ottantesimo quinto offre un passo arditissimo dell' espressione drammatica d' una supplente. In questo luogo, tratto dal Duetto del secondo atto del Don Sebastiano, notisi quel mi + che rimane sospeso senza veruna risoluzione alla fine della frase.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XII; text: Segue _ Supplenti preparate, Zaida, Larghetto, In lieta sorte o ria m' avrai compagna o re, Donizetti, Don Sebastiano] [BASINTR 12GF]

I Teorici non hanno posto mente quanto si conveniva a cotali salti delle dissonanze. Solo Gioffredo Weber, nel suo [-58-] Saggio di una ordinata teoría della musica, avvertì, che simili passi venivano ad impugnare alcune regole tenute per certe nei Trattati. Egli addusse l' esempio ottantesimo sesto, onde conchiuse, che non erano ancora scoperte intieramente le leggi secondo le quali possono adoperarsi le note di passaggio.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XII; text: Gioffredo Weber, Saggio eccetera] [BASINTR 12GF]

Confessione importantissima, che se gli altri Teorici avessero ugualmente fatta, avrebbero sparso maggior luce nei loro sistemi di armonia, e forse sarebbero entrati nella vera via per renderli meno incompleti, e più utili praticamente.

Choron, nel Manuale di musica, pone simili esempi di supplenti tra le risoluzioni nascoste (deguisées) cioè fatte dall' armonia. Egli è certo che l' armonia soccorre la percezione, ma, come vedremo più innanzi, non sempre lascia spazio anche ad una risoluzione supposta in altra parte. La risoluzione non ha effettivamente luogo; e se vennero supposte risoluzioni per cambiamento di parti, e nascoste, in simili esempi, ciò avvenne perchè non erano conosciute ancora le proprietà della percezione.

Oltre le supplenti preparate o annunziate, delle quali ci siamo fino ad ora intrattenuti, vennero adoperate, e qui dimora il massimo progresso della percezione, anche quelle senza preparazione: talchè si presentano di colpo, ed all' improvviso, in vece della nota consonante. Alla prima giunta si direbbe uno sbaglio o nello scritto, ovvero nell' intonazione; ma così non è, chè, per contrario, fatta alquanto la consuetudine, scopresi in esse delle grazie speciali, che non sono state ancora intieramente conosciute nè investigate tampoco.

Questa ultima specie di supplenti melodiche s' incontra ben di rado negli scrittori; ne sceglierò non pertanto vari esempi.

Nella Sinfonia con Cori di Beethoven (esempio ottantesimo settimo) vi sono due supplenti accoppiate in terza, che al Berlioz da [-59-] prima parevano note sbagliate; e sono quelle segnate +, eseguite dal secondo violino, e dalle viole. Ma non istette guari che lo stesso Berlioz si persuase, che un tal passo fu dall' autore con intenzione scritto in siffatta guisa.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XII; text: Strana dissonanza, Primo Violino, Flauti e Oboi, Clarinetti e Fagotti, Secondo Violino, Viole, Bassi, Allegro non troppo, Beethoven, Nona Sinfonia] [BASINTR 12GF]

Il Rossini molto audacemente adoperò la supplente senza preparazione, e di colpo, nel terzetto della Zelmira "Soave conforto" (esempio ottantesimo ottavo); ove comparisce quel re + in vece del do, o del mi.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XII; text: SUPPLENTI SENZA PREPARAZIONE, Allegro, Soave conforto di un padre, Rossini, Zelmira] [BASINTR 12GF]

In questo esempio è chiaro che al re non si può supporre risoluzione alcuna nè lontana nè in altra parte, essendo che nella battuta seguente cambia l' accordo, e sparisce in conseguenza il do su cui per avventura la si avesse voluta risolvere. Adoperò similmente nella parte istrumentale dell' Introduzione della Gazza Ladra, come ci manifesta l' esempio ottantesimo nono. Vero è che il soprano risolve la dissonanza, ma il fa troppo debolmente, e non cuopre l' effetto della supplente, la quale spicca assai nell' istrumentale, ove, fortificata dal primo violino e dall' oboe, dà evidente segno di appartenere ad un motivo diverso da quello del canto cui s' associa.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XII; text: Primo Violino, Oboe, Moderato, là sotto alla gola, Rossini, Gazza Ladra] [BASINTR 12GF]

Nella Tirolese del Guglielmo Tell (esempio novantesimo) il Rossini ci presenta nel motivo del violino un' altra supplente, con quel si +, il quale, perchè tirasse maggiormente l' attenzione dell' uditore è contemporaneamente toccato dal flauto, ottavino ed oboe.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Segue _ Supplenti senza preparazione, Allegretto, Primo Violino, Flauto, Ottavino, Oboe, Rossini, Guglielmo Tell] [BASINTR 13GF]

Meyerbeer eziandio non si lasciò fuggire l' effetto delle supplenti. E ne fa prova quel brano del ballabile del secondo atto nel Roberto il diavolo, che si vede all' esempio novantesimo primo, ove il sol + nona è presa di salto, e rimane senza risoluzione.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Allegretto, Meyerbeer, Roberto il diavolo] [BASINTR 13GF]

Il finale primo degli Ugonotti (esempio novantesimo secondo) ci somministra la supplente colla sua appoggiatura. Quel do + è supplente, ed il si bequadro ne è l' appoggiatura.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Allegro con spirito, Nevers, Spesso importuno giunge a tutti il troppo merto ma non potendo, Meyerbeer, Ugonotti] [BASINTR 13GF]

Auber, con molta grazia, più volte si servì della supplenza, come nel quintetto del primo atto del Fra [-60-] Diavolo (esempio novantesimo terzo). Quivi il sol + supplisce al fa sottinteso.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Allegro assai, Auber, Fra Diavolo, F, p] [BASINTR 13GF]

Grazioso è altresì quel passo strumentale dello stesso autore, nel Coro e Ballata del primo atto dei Diamanti della Corona (esempio novantesimo quarto). Vi si scorgono quei si +, e quei do + posti in cambio dei la, e dei si.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Allegro, Auber, I diamanti della corona] [BASINTR 13GF]

Nel coro primo della Straniera (esempio novantesimo quinto) il Bellini adoperò il fa + per il mi o per il sol.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Coro, Allegretto, Lievi lievi in sen del lago tuffar l' ali amiche aurette, Bellini, Straniera] [BASINTR 13GF]

Molte grazie simili furono conseguite ancora da altri Scrittori, fra i quali non si vuol dimenticato Giovanni Strauss. Ardito è l' esempio novantesimo sesto, nel Valzer Ball-G'Schichten: nel quale il la + sta per il sol; come pure il novantesimo settimo, nel Rosa-Waltzer, ove quei do + sono supplenti del si; e finalmente il novantesimo ottavo, nel Huldigungs-Waltzer, che ci mostra il la + adoperato in luogo del sol.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIII; text: Strauss, Valzer Ball-G'Schichten, Rosa-Valzer, Huldigungs-Waltzer] [BASINTR 13GF]

Gli autori fin qui citati ci somministrarono alcuni esempi di supplenti, le quali non hanno, per verità, molta importanza; ma per l' efficacia che mostrano sono sufficienti ad animarci a proseguire i nostri studj intorno le medesime, e a farne tesoro per vantaggiarne le melodie, che così troveranno altra sorgente di novità.

Avendo io posto mente a cotesti fatti musicali, trascurati al tutto dai Teorici, m' industriai di trarne quel maggior partito che per me si è potuto; e secondo le lievi forze del mio ingegno scrissi i tre esempj novantesimo nono, centesimo e centesimo primo, che offro al lettore.

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XIV; text: Melodia tutta composta di supplenti, Allegro moderato, con ottava sempre, Abramo Basevi, Melodie miste di supplenti, Andante moderato, appassionato, dolce, crescendo e stringendo, rallentando a tempo, p, FF] [BASINTR 14GF]

[Basevi, Introduzione, TAVOLA XV; text: Segue _ Melodie miste di supplenti, Allegro, F, Abramo Basevi] [BASINTR 15GF]

Non si cerchi in essi nè avvenenza melodica, nè eleganza, nè artificio; ma solamente la efficacia, e la proprietà delle supplenti. Nel primo esempio novantesimo nono adoperai nella parte melodica un seguito di supplenti, senza mistura d' altra qualità di note. Apparirà per certo strana cosa l' accozzamento che vi si osserva della melodia coll' armonia dell' accompagnamento; ma cesserà la meraviglia, ove [-61-] il lettore ritorni alla sua memoria quello che dissi già intorno alla forza del suono percepito. In questo caso l' accompagnamento non si adatta al suono sentito effettivamente, ma in vece al suono percepito, che domina in quel punto. Quindi è che in cambio del re diesis, e del fa, che noi sentiamo, si considera il mi, che è il suono percepito nella nostra fantasia; e così nel posto del si e del re, si fa conto che siavi il do; ed in quello del fa diesis e del la, il sol; e così del rimanente.

Ecco trovato il gran segreto di questa apparente maravigliosa contraddizione. Non operando in tal modo nell' armonizzare quest' esempio, e volendolo trattare, per contrario, secondo i comuni precetti d' armonia fin qui conosciuti, si associerebbe alla melodia tale accompagnamento che ne guasterebbe al tutto il suo carattere melodico, e si troncherebbe qualunque nesso di frase. Non è possibile cogliere il significato di questa melodia, ove non si segua il principio della supplenza, accennato da me sopra.

Negli altri due esempi centesimo e centesimo primo, le supplenti si trovano miste ad altre dissonanze e consonanze, per dimostrare come fra loro collegare si possano.

Questo, diciamo pure, nuovo genere di musica vuole essere eseguito con certe avvertenze, che meglio comprenderà il Lettore quando conoscerà la natura di queste note. Egli è chiaro che l' esecutore non deve trattar le supplenti come semplici note che abbiano finito lo ufficio loro, esaurito che sia il valore delle medesime; ma gli conviene ingegnarsi, in certo modo, a fare presentire alla fantasia dell' uditore quella risoluzione che non perviene al suo orecchio; senza di che è impossibile trarne l' effetto migliore che si ricerca.

[-62-] V.

Cenno intorno al nuovo Sistema.

Accennato, come facemmo, il progresso della percezione fino a questo punto, dee naturalmente sorgere nell' animo del Musicista il bisogno di un sistema di armonia che si adatti ai nuovi fatti, li spieghi, e, quello che più è, lasci aperta sempre la via al genio del compositore.

Io mi sono sforzato di sodisfare a questo bisogno. Conforme alle massime del Fetis, mi parve doversi poggiare il nuovo sistema di armonia sul principio della tonalità. Ma questo principio l' ho considerato in un aspetto ben più ampio che non siasi fatto fino ad oggi. Ho osservato che in un tono non è veramente che un solo accordo perfetto, il quale acquieti la nostra percezione in modo che non desideri più oltre: questo accordo vuole perciò chiamarsi tonale vero. Verso questo accordo gravitano, ma con impulso diverso, e lasciando nel nostro udito un sentimento di riposo più o meno sodisfacente, gli accordi perfetti fondati sulla quarta e sulla quinta del tono, i quali chiamai accordi tonali apparenti. Questi ultimi accordi esercitano in senso opposto la loro attrazione verso quello tonale vero, secondo la maggiore vicinanza che tengono con esso: perciò la quinta sopra diviene la quarta verso il grave, a cui conservai il nome di dominante: laddove la quarta sopra rimane al suo posto di contro all' altra, onde parvemi le convenisse il nome di controdominante. Il che può vedersi, supponendo il tono di do maggiore, nel sottoposto esempio:

sol --> DO <-- fa.

[-63-] Il passaggio dall' accordo perfetto della dominante a quello della tonica, dicesi cadenza autentica; e, per contro, se il passaggio si opera dall' accordo perfetto della controdominante a quello della tonica, chiamasi cadenza plagale. Le due cadenze combinate costituiscono essenzialmente la tonalità.

Gli armonisti hanno, in generale, ignorata la efficacia della cadenza nello stabilimento della tonalità moderna. Il Rameau non considerò la cadenza che come un effetto del principio fisico della risonanza. Il Tartini però, nei suoi Principj dell' armonia eccetera, fu forse il primo, che dalle cadenze facesse nascere la scala diatonica; se non che ammise tre sorte di cadenze, quando due sole veramente esistono rispetto alla tonalità.

Il Fetis, seguendo in questo le vestigia degli altri Armonisti, non parve reputare necessaria alla costituzione della tonalità, che la sola cadenza autentica; ondechè due soli accordi stimò veramente naturali.

Cotale modo di vedere è incompleto, e sorgente inoltre di alcuni errori, che alterano affatto il vero concetto della tonalità. Ed anzi tutto è contrario all' esperienza il carattere di riposo che si attribuisce a qualsiasi accordo perfetto; e per conseguente è falso che in ogni tono siano tre centri di riposo, rispondenti ai tre accordi perfetti, che ordinariamente si assegnano al primo, al quarto, ed al quinto grado della scala diatonica. Un solo accordo perfetto manifesta il carattere di riposo, ed è quello che appartiene alla tonica. Deducendo la tonalità dalle due cadenze autentica e plagale, come io faccio, gli accordi perfetti, che concorrono in quelle cadenze, conservano le loro proprietà, onde nacque la mia distinzione tra gli accordi tonali veri, e gli apparenti.

Ora, queste cadenze, secondo che gli accordi perfetti [-64-] sono maggiori, o minori, possono dar luogo a tre combinazioni nella tonalità: per la qual cosa, oltre i modi maggiore e minore, se ne forma un altro, il quale, perchè sta in mezzo agli altri due, appellai modo medio. In questo modo gli accordi sulla tonica e sulla dominante sono maggiori, ma è minore quello sulla controdominante.

Supposto il modo medio di do, avremo la seguente combinazione di cadenze:

(Sol, si, re) --> (do, mi, sol) <-- (fa, la bemolle, do.)

Colle dette cadenze si possono benissimo accompagnare frasi, e periodi musicali, in guisa che il nuovo modo sia perfettamente stabilito, e non meno, per fermo, di quello che siano gli altri modi maggiore e minore. L' esistenza di questo modo ci prova inoltre la necessità delle due cadenze autentica e plagale per determinare esattamente la qualità del modo: e di vero, colla sola cadenza autentica non potremmo distinguere il modo medio da quello maggiore.

Non possono cadere altre combinazioni cadenzali oltre quelle tre sopradescritte, perchè all' accordo perfetto minore repugna, per natura, di operare la cadenza autentica; come ognuno di leggieri può persuadersene facendo la prova.

La tendenza che ha un accordo perfetto verso l' altro nel far cadenza, si riscontra ancora nelle toniche degli accordi medesimi; così, nel tono di do, il sol ed il fa tendono cadenzalmente verso il do. Cotale tendenza denominai perciò tendenza tonale.

Dai tre accordi perfetti tonali, relativi ad un medesimo modo, si prendono tutti i gradi della scala diatonica naturale. Disposti in serie i suoni dei tre accordi tonali, si osserva che in questi suoni perdurano quelle proprietà ed [-65-] affinità, che possedevano quando aggruppati formavano gli accordi perfetti, e per le quali questi accordi, gravitando gli uni verso gli altri, facevano cadenza autentica, o plagale.

La scala diatonica si compone adunque coi tre accordi perfetti, e quindi resulta in certa guisa dalla loro dissoluzione. La disposizione più naturale della scala diatonica, rispetto all' accordo tonale vero, posto per esempio il tono di do maggiore, sarebbe la seguente:

[Basevi, Introduzione, 65,1; text: si, DO, re, MI, fa, SOL, la] [BASINTR 16GF]

nella quale spicca in mezzo l' accordo DO MI SOL.

Si consideri adesso che possiamo formare la serie anco attorno agli accordi tonali apparenti, adoperando le note medesime della scala diatonica; e quindi avremo le altre due serie costituenti il tono, come appresso:

[Basevi, Introduzione, 65,2; text: fa, SOL, la, SI, do, RE, mi, FA, sol, LA, si, DO, re] [BASINTR 16GF]

La prima di queste due ultime serie appartiene all' accordo della dominante, e la seconda a quello della controdominante.

Ogni nota dell' accordo tonale, sia vero o apparente, è come un centro d' attrazione verso cui gravitano le altre note vicine.

Quelle note che fanno parte dell' accordo perfetto chiamai tonali, e le altre prossime, che con esse addimostrano affinità, appellai attinenti. Le grappe soprapposte al nome delle note, abbracciano la singola tonale colle respettive attinenti superiore ed inferiore.

Studiando bene addentro le affinità delle suesposte tre serie, appartenenti ad uno stesso tono e modo, è agevole scoprire che, oltre quei suoni che sono parimente nella [-66-] scala diatonica, altri ne possono esistere, i quali, tuttochè non facciano parte di veruno degli accordi tonali, nulla di meno hanno tanta attrazione verso le tonali, che, aggiunti nelle varie serie, non alterano per nulla la tonalità. Questi suoni prendono posto tra le attinenti, e per distinguerle dalle diatoniche, che distinsi col nome di naturali, le chiamai accidentali.

Queste attinenti accidentali, che non alterano il sentimento della tonalità, sono i semitoni sotto le tonali, quando queste distanno per un tono, verso il grave, dalle attinenti naturali.

Nella serie del tonale vero, sono quelle note che portano il diesis nella sottoposta serie:

[Basevi, Introduzione, 66; text: si, DO, re, re diesis, MI, fa, fa diesis, SOL, la] [BASINTR 16GF]

Che questi suoni accidentali non alterino il tono, mille prove si hanno, e basti per esserne interamente persuasi, l' adoperarli come appoggiature in qualunque melodia immaginata nel tono di do maggiore.

Le affinità di un suono verso dell' altro non sono tutte della forza e qualità medesima: e queste differenze emergono dalla natura della serie, secondo che questa sia appartenente al tonale vero, o agli apparenti.

Se in ogni modo sono tre serie, nove dunque saranno tutte le serie che costituiscono la tonalità in generale.

In tutte tre le serie degli accordi relativi al modo maggiore, le tonali e le attinenti naturali formano una identica successione diatonica: per la qual cosa la scala del modo maggiore è uguale nel salire, come nel discendere. Ma nel modo minore, e nel medio, l' accordo tonale sulla dominante, a poter fare cadenza autentica, ricerca la terza maggiore; dove che l' accordo sulla controdominante vuole la terza [-67-] minore: quindi è che i suoni naturali nelle diverse serie relative ai modi medio e minore, differiscono fra di loro. E poichè la cadenza autentica domina nel salire, e la plagale nello scendere, le scale del modo medio e del minore portano suoni differenti nel salire, e nello scendere.

Prendiamo per esempio il modo minore di do. Nel salire, il si dovrà essere naturale, perchè l' accordo sul sol dominante, quando fa la cadenza autentica, vuole la terza maggiore; e dappoichè il la naturale è il grado intermedio tra il detto si, ed il sol, anche questo la naturale viene adoperato, come segue:

do, re, mi bemolle, fa, sol, la, si, do.

Nello scendere, per contrario, piglia maggioranza la cadenza plagale, e quindi il la deve essere bemolle, come terza minore dell' accordo sulla controdominante fa. Ora il si bemolle essendo il grado che trovasi tra questo la bemolle ed il do, entra pur esso nello scendere della scala; il che si vede qui sotto:

do, si bemolle, la bemolle, sol, fa, mi bemolle, re, do.

Così abbiam trovato la ragione della differenza che s' incontra nel modo minore, ed anche nel medio, tra la scala ascendente e la discendente.

Si raccoglie da quanto dicemmo, che due sono le qualità di tendenze; l' una si riferisce al movimento cadenzale di un accordo tonale verso l' altro, e venne chiamata tendenza tonale: l' altra appartiene alle affinità che hanno le attinenti verso le tonali, e questa denomino perciò tendenza attinentale.

Varie qualità e disposizioni di attinenti si notano, le quali [-68-] distinsi con varj nomi, come di attinenti comuni, naturali, accidentali, caratteristiche, coattinenti eccetera eccetera.

Le attinenti divengono talvolta pur esse momentaneamente altrettanti centri secondarj d' attrazione, per la qual cosa portano delle note che gravitano sulle medesime, alle quali imposi la denominazione di soprattinenti.

Le pretese note di passaggio non sono altro che attinenti, o soprattinenti, e si regolano secondo le proprietà di queste; laonde non debbono considerarsi come estranee all' armonia.

Quell' esperienza, di cui c' intrattenemmo alla pagina 15, intorno al passo melodico dell' esempio nono, il quale disturba la risoluzione dell' accordo sottoposto, è chiarissima prova dell' influenza armonica delle attinenti. E di vero, ecco qui sotto due serie che appartengono all' accordo tonale sul sol: nella prima, l' accordo sul sol è tonale apparente nulla dominante; nella seconda, è tonale apparente sulla controdominante; sicchè nel primo caso siamo naturalmente in tono di do, di cui il sol è dominante; e nel secondo caso ci troviamo nel tono di re maggiore, di cui il sol è controdominante.

[Basevi, Introduzione, 68; text: primo, fa, fa diesis, SOL, la, la diesis, SI, do, do diesis, RE, mi, secondo] [BASINTR 16GF]

Le grappe che abbracciano le diverse note, indicano le tonali colle respettive loro attinenti naturali, ed accidentali.

Si scorge nella prima delle suddette serie, che il do diesis è un' attinente accidentale, la quale appartiene soltanto alla tonale RE, e quindi non potrebbe fare appoggiatura sul SI senza alterare la serie; dove che nella seconda serie il do diesis medesimo è un' attinente naturale, ed inoltre comune [-69-] al RE ed al SI; il perchè può adoperarsi come appoggiatura di ambo le tonali RE e SI. Ora, quando il do diesis faccia ufficio di attinente del SI, come vedesi nell' esempio nono, ci troviamo naturalmente nella seconda delle serie ora riferite, laonde siamo condotti nel tono di re maggiore; laddove nell' esempio undicesimo, il do diesis facendo appoggiatura al RE, potendo ugualmente essere nelle due riferite serie, posso parimente risolvere nel tono di do, ed in quello di re.

Le varie serie ricevono ogni loro proprietà primitivamente dall' armonia, per la qual cosa la nostra percezione le abbraccia nella relazione loro coll' accordo tonale vero, o apparente, che serve a quelle di sostegno. Da ciò deriva tutta la teoria delle note di passaggio, le quali rivelando alla percezione la serie cui appartengono, possono incontrarsi con tutti quegli accordi nei quali non abbiano parte, e medesimamente con altre diverse note di passaggio, ogni qual volta però non venga disturbato il sentimento della tonalità.

Giusta il principio delle attinenze, e tenendo conto della relazione armonica tra le varie note tonali, possiamo renderci ragione di tutto il procedimento di qualsiasi melodica successione. La quale, ha due caratteri essenziali, l' uno è melico-puro quando il passaggio si opera dalle tonali alle respettive attinenti, o viceversa, e dalle attinenti naturali alle accidentali prossime relative alla stessa tonale: l' altro è melo-armonico quando avvengono salti di suoni, i quali si fanno da una tonale all' altra appartenente allo stesso accordo tonale che governa la serie, o ancora tra le attinenti e le tonali diverse; essendochè si sottintende sempre, mediante la percezione, l' accordo perfetto, come se attualmente si udisse. Può accadere però, che una nota, come spettante a serie differenti, serva di passaggio fra queste serie.

[-70-] Secondo questi principj ci verrà fatto di conseguire la vera analisi delle melodie, onde potremo di leggieri discernere ove siano riposte le analogie e le differenze loro.

Tutte le possibili combinazioni di accordi resultano dalla unione delle tonali, o delle attinenti, ovvero delle une con le altre, purchè appartenenti ad una determinata serie, ovvero a differenti serie, ma relative ad un tono e modo stesso. Ove accada che l' accordo si estenda oltre una serie, sia entrando in una uguale al grave o all' acuto, sia in altra del medesimo tono e modo, possono coesistere attinenti di una serie colle relative tonali dell' altra serie; il che non potrebbe avvenire nei limiti d' una serie, senza impedire la risoluzione. Quando ciò intervenga, e non è lodevole, si suppongono più voci o strumenti, dei quali una parte soltanto sia in grado di risolvere.

La risoluzione delle attinenti si fa necessariamente sulle tonali respettive della medesima serie. Se un accordo è capace di varie risoluzioni, ciò nasce perchè viene percepito in serie diverse, ed in toni diversi: ed infatti le stesse note si possono trovare anche in altre serie, e toni, o collo stesso nome, o con altro cangiato enearmonicamente. È questo tutto il segreto della modulazione, e la vera spiegazione del fenomeno musicale dal Rameau detto del doppio impiego, che dette tanto a pensare ai Teorici.

E nel vero, se trasportiamo l' accordo fa la do re nella serie di do maggiore tonale vero, il solo do, come tonale, rimarrà fermo nella modulazione, il re passerà al mi, ed il fa e la cadranno sul sol di cui sono coattinenti: il fa potrebbe però scendere al mi, che è pure sua tonale. Ove poi lo trasportassimo nella serie di sol, tonale apparente sulla dominante nel tono di do maggiore, allora il re, come tonale, non si muove, il do cade sul si, ed il fa e la passano al sol. [-71-] Ecco adunque perchè l' accordo fa la do re, senza ricorrere all' assurda ragione del doppio impiego, ha queste due risoluzioni. E ne potrebbe avere molte altre trasportato che fosse in altre serie; e così tutti gli accordi similmente sono suscettivi di diverse risoluzioni.

Un accordo, prima di risolvere nelle tonali della serie cui appartiene, può passare ad altri accordi intermedj. Così l' accordo fa la do re, se è nella serie di sol dominante, potrà cominciare a risolvere il fa ed il la nel sol, onde avremo l' accordo sol do re. Se è invece nella serie di do tonale vero, il re, innanzi di giungere al mi, può cadere nell' attinente accidentale re diesis. È possibile inoltre, che quest' accordo fa la do re diesis, invece di risolvere nel sol do mi, venga trasportato nella serie di la minore, ed ivi risolva, producendo momentanea decezione.

I varj accordi tonali, veri o apparenti, si debbono considerare come tanti centri di attrazione, verso cui la percezione nostra trasporta tutte le altre combinazioni armoniche. Gli accordi tonali veri pertanto sono quelli soli che danno poi al sentimento della tonalità il riposo definitivo.

Ecco qui sotto un prospetto in cui, posti i tre modi maggiore, medio, e minore, si mostra l' accordo perfetto così maggiore come minore, in tutte le sue relazioni, cioè quello maggiore in sei, ed il minore in tre. La nostra percezione non si può esercitare, secondo la moderna tonalità, che riferendo ogni combinazione armonica e melodica a quegli accordi tonali, come son qui appresso presentati.

[Basevi, Introduzione, 71; text: la, fa diesis re, re si sol, sol mi do, do la fa, fa re si bemol, re si bemol sol, sol mi bemol do, do la bemol fa, fa re bemol si bemol] [BASINTR 16GF]

[-72-] La direzione delle freccie mostra tutte le tendenze tonali dell' accordo maggiore, e minore di do. Onde appariscono ora tonali veri, ora apparenti in ognuno dei tre modi; a costituire i quali modi debbono concorrere sempre tre accordi perfetti con tonica differente, acciocchè possa aver luogo la cadenza autentica, e la plagale.

È manifesto, che col mio sistema spariscono tutte le arbitrarie distinzioni di accordi artificiali, e naturali. E la teoria della modificazione degli accordi non ha più ragione di essere, imperocchè gli accordi non sono considerati tutti di un pezzo, ma nei loro elementi.

Le alterazioni delle note, per conseguente, riescono assurde. Le note non si alterano, ma passano ad altra nota: il re diesis non è alterazione del re, più di quanto il do sia alterazione del si.

La legge dell' armonia e della melodia può in sostanza riasumersi in questi termini semplicissimi: "le note attinenti tendono verso le tonali." Questa legge spiega i fenomeni delle pretese sostituzioni, dei ritardi, del doppio impiego, delle alterazioni, anticipazioni, note di passaggio, appoggiature, pedali eccetera eccetera. Non si ammettono perciò note estranee all' armonia, come vorrebbero gli altri sistemi, i quali le dichiarano estranee, solo perchè ignorano le loro vere proprietà armoniche.

Ognuno comprende di leggieri, che secondo i nuovi principj che stabilisco, la numerazione degli accordi deve essere anche diversa dalla consueta.

Il basso non può essere logicamente il vero termine di confronto per numerare gli accordi: quindi è che la numerazione sul basso non è da seguirsi, se non come convenzione per agevolare l' indicazione dell' accompagnamento. La numerazione [-73-] dettata dall' economia del nuovo sistema è veramente quella che io chiamo tonale, e questa si riferisce alla disposizione naturale delle note nelle varie serie, le attinenti rispetto alle tonali; in maniera che il numero assegnato ad ogni nota rimane il medesimo nel rivolto degli accordi. Senza che, cotal numero suggerisce ancora la tendenza e la risoluzione della nota medesima. Il numero viene cambiato ogni qualvolta l' accordo sia trasportato in altra serie, imperocchè allora acquista altre affinità. Quantunque la numerazione tonale sia, secondo il mio parere, la vera, nulla di meno io ammetto ancora altra numerazione, cui aggiunsi il nome di formale, la quale si conforma alla dottrina del temperamento. Il perchè tutti i toni e semitoni vengono per convenzione parificati, siccome accade nel Pianoforte. Per procedere a questa numerazione si calcolano i semitoni che corrono tra una nota e l' altra dell' accordo: così do mi sol si segnerebbe 1 4 3; perocchè il mi è distante 4 semitoni dal do, ed il sol ne è 3 dal mi. Mediante questa numerazione si scoprono delle analogie, e delle differenze, che non appariscono nella comune numerazione sul basso. La quale suole in effetto numerare con gli accidenti, senza avvertire che la nota accidentata non serba più veruna analogia con quella naturale; senza che nei rovesci talora sorgono analogie, ove non sono, come negli accordi mi la re, e mi sol re, nei quali si numera settima il re, che nel primo caso è ritardo del do come mediante, e nel secondo è ritardo del do come tonica.

Giova inoltre la numerazione formale per la risoluzione degli accordi, imperocchè questa risoluzione si riferisce alla forma dell' accordo, la quale è identica in molti casi, dove che per la numerazione sul basso parrebbe esservi dissomiglianza.

Per trarre profitto dalla numerazione formale ho formato due serie miste, cioè ho riunito in una sola tutte le sei [-74-] serie che hanno per fondamento l' accordo perfetto maggiore, ed in un' altra quelle tre che si basano sullo accordo minore. Feci passare un accordo formale su tutti i gradi della serie mista, ed osservai il meccanismo della risoluzione. Per esempio, l' accordo di settima sulla dominante, che è segnato come accordo formale 1 4 3 3, trasportato sulla nota fa della serie mista di do maggiore, si traduce nell' accordo effettivo fa la do re diesis, imperciocchè manca il mi bemolle. Ora, questo accordo, dappoichè deve risolvere necessariamente in sol do mi, che sono le note tonali della serie, viene a salire in conseguenza di due semitoni, prendendo quarta e sesta, secondo l' antica numerazione sul basso. Se trasporto il suddetto accordo formale sul la bemolle troverò l' accordo effettivo la bemolle do re diesis fa diesis, che è obbligato a scendere di un semitono, per risolvere parimente in sol do mi sol. Fatte queste due risoluzioni, riesce agevole di applicare al secondo accordo formale il meccanismo della risoluzione del primo, e viceversa; laonde fa la do re diesis, scendendo mezzo tono e prendendo quarta e sesta, risolverà in mi la do diesis mi, e l' accordo formale la bemolle do re diesis fa diesis salirà due semitoni, e prenderà quarta e sesta, per cui si troverà risoluto in si bemolle mi bemolle sol. Se non che, come ognuno vede, cadendo in altri accordi tonali diversi da quello di do, non siamo più nella serie mista di questo accordo, ma siamo passati in altre serie miste appartenenti ad altri accordi; per la qual cosa è necessario il cangiamento enearmonico, e quindi l' applicazione di diverso nome al do naturale del primo accordo, che si trasforma in si diesis, ed al re diesis del secondo, che si cangia in mi bemolle.

Si noti che il risolvere in un accordo perfetto non importa, secondo il mio sistema, che si entri in quel tono, [-75-] perchè l' accordo perfetto maggiore, come avvertimmo, può appartenere a sei serie, ed il minore a tre.

Senza che, lo stesso accordo perfetto può anche non essere tonale; ma in vece composto di attinenti, come sarebbe nella serie di do, l' accordo re fa la: cotali accordi chiamai attinentali.

La serie alla quale appartengono i nuovi accordi ne manifesta le proprietà, cosicchè non solo si apprenderà a risolvere in ogni possibile guisa tutti gli accordi, ma conosceremo ad un' ora le proprietà degli accordi nascenti. Le note di cui si compone l' antecedente accordo ci rendono aperto in quale serie si compia la risoluzione; per esempio l' accordo la bemolle do re diesis fa diesis non può appartenere alla serie di do tonale vero nel modo maggiore o minore, ma bensì nel modo medio: imperocchè nel modo minore manca il re diesis, e nel modo maggiore manca il la bemolle. Così ancora, se all' accordo fa la do re faccio succedere sol si re, questo non può essere nella serie del tonale vero, ove manca il fa naturale; ed essendo in quella del tonale apparente della dominante, l' accordo sol si re nasce perciò con tendenza verso l' accordo perfetto sulla tonica do. Conosciute queste proprietà degli accordi nascenti, è conosciuto uno dei punti i più trascurati, e più necessari a sapersi dal Compositore, cioè quello che concerne la parentela degli accordi.

Quanto poi al modo di disporre le parti dell' armonia, l' arte del contrappunto più specialmente deve insegnarlo. Se non che a me parve che nel trattare l' armonia tornasse utile alquanto soffermarsi intorno al miglior suono, e più dolce, e pieno, secondo le forze della percezione; e questa parte speciale chiamai Eufonologia.

L' eufonologia s' occupa della miglior combinazione delle [-76-] note, del seguito delle quinte e delle quarte eccetera, delle varie dissonanze, dell' effetto dei rivolti, e di tutto ciò infine che abbia stretta relazione colla bellezza del suono.

Rotti quei legami che vennero imposti fin adesso dai vecchi pregiudizi, o per dir meglio, dallo stato imperfetto della percezione presso i nostri predecessori, non per questo la scienza armonica diviene arbitraria. Le proprietà delle attinenti, delle tonali, delle successioni e combinazioni loro, sono sottoposte a delle leggi, le quali con ogni sollecitudine vogliono essere studiate.

Anzi, nello stato presente della musica, mercè gli acquisti fatti, mediante i lavori di tanti insigni Maestri, queste leggi riescono utili non solo, ma indispensabili altresì per rendersi ragione dei progressi fatti dall' arte musicale. I Maestri osservando queste nuove leggi si troveranno più liberi nell' adoperare l' ingegno loro; e poichè questa libertà non incontra altro freno, che l' obbligo di non offendere il sentimento della tonalità, più condannabile riuscirà la licenza.